mercoledì 10 ottobre 2007

CHI SIAMO






Chi Siamo
Associazione Ya Basta "camminare domandando"

Da dove veniamo
Da dieci e più anni abbiamo iniziato una strada comune con molti che abbiamo chiamato Associazione Ya Basta.

L’idea iniziale maturata all’indomani del Primo Incontro Intercontientale nella Selva Lacandona rispondeva agli stimoli e alle suggestioni che il “levantamiento” zapatista del 1° gennaio 1994 avevano portato anche nella nostra Europa.
Abbiamo iniziato allora un percorso che partiva dalla scommessa di andare oltre alla semplice solidarietà per costruire uno spazio di azione comune.
L’Associazione è nata come un ponte di condivisione con la lotta zapatista ma anche come strumento di iniziativa politica nei nostri territori.
Da allora abbiamo costruito campagne politiche, fatto carovane e progetti, siamo stati insieme a molti altri all’interno dei movimenti globali e locali.
Il nostro agire si è mosso dal Chiapas alle lotte contro i CPT e le frontiere, dalla interposizione nei luoghi dell’occupazione militare come la Palestina alla creazione di relazioni e rapporti con molte situazioni dell’America Latina.
Siamo sempre stati spinti dalla ricerca e dalla condivisione di nuove pratiche dei conflitti esplorando le molteplici esperienze globali che oggi progettano e costruiscono le proprie forme di vita.
In questa strada abbiamo incrociato tanti e tante che come noi pensavano che le scelte e la politica internazionale non fossero un fatto da delegare o praticare solo nei termini del vecchio “internazionalismo proletario” ma invece come terreno di affermazione di una cittadinanza dei diritti universale, ancora di più oggi, nell’epoca della guerra globale...
Fin dall’inizio abbiamo scelto una strutturazione a rete, una gestione assembleare nel prendere le decisioni, un’ autonomia locale che allo stesso tempo mantenga la strada della condivisione dei nostri percorsi.
Abbiamo sperimentato e valorizzato gli apporti delle sedi locali ma anche le decisioni condivise, nella consapevolezza che stavamo costruendo un bene comune per noi e per molti.
Oggi ci sembra importante ritrovarci per disegnare insieme le prossime tappe in un incontro aperto ai tanti che hanno camminato con noi e ci sono vicini.
Alcuni spunti sull’America Latina e il mondo ..
Ancora una volta partiamo per discutere dagli stimoli che ci giungono dai nostri fratelli e sorelle zapatiste ed anche dai movimenti sociali che abbiamo conosciuto in tutta l’America Latina.
Perché guardiamo con attenzione a questo continente?
Non certo perché ci sono esempi dogmatici da seguire o da trasformare in feticci, ma perché in questo specchio continentale si disegnano problemi, esperienze, discussioni che ci riportano a temi e laboratori sociali che rivediamo anche nei nostri territori.
Nell’epoca della globalizzazione imperiale, del ridisegno, pieno di contraddizioni, di governance continentali, nello scenario della guerra globale, come tentativo di comando locale e planetario, le reti di resistenza, i conflitti ed i movimenti da una parte all’altra dell’oceano parlano linguaggi comuni.
La ricerca di autonomia politica e sociale come espressione costituente al di là delle forme obsolete della rappresentanza, la costruzione di comunità in lotta come spazi di resistenza e laboratori di alternativa sociale, la consapevolezza della difesa dell’ambiente e dei beni comuni non solo come opposizione alla dinamica onnivora del sistema neo-liberale ma anche come sfida ad una idea di progresso sbandierata come opzione senza alternative: questi sono i temi che intravediamo in tante realtà dell’America Latina così come nelle nostre lotte locali e continentali.
E lo ripetiamo non perché siamo alla ricerca di esempi da riciclare o imitare ma perché confrontarsi con altre strade ed altri percorsi ci permette di dare maggior consapevolezza alla partecipazione e costruzione dei conflitti dei nostri territori.
Ovviamente non vogliamo dire che solo in America Latina esistono punti per noi di stimolo ma che questo è lo spazio che più conosciamo e che possiamo comprendere con maggior efficacia come nostro specchio.
Non vogliamo utilizzare nessuna esperienza come dogma assoluto.
Questa è una moda vecchia tornata di attualità ora verso alcuni governi e personaggi dell’America Latina.
Una moda che ha l’odore stantio della vecchia scorciatoia che “per cambiare il mondo bisogna prendere il potere” e che ha come sottoprodotto nostrano il fatto che “quando si ha il potere di qualsiasi tipo si ha il bisogno di tenerselo stretto ad ogni costo”.
Ci interessano i percorsi, i laboratori sociali, i conflitti e le loro forme d’espressione, la loro capacità di radicalità e costruzione societarie.
In questa ricerca siamo ben consapevoli che risposte totali non ce ne sono ma invece come dicono i nostri fratelli zapatisti si tratta di “caminar preguntando”, avendo al collo la bussola dell’umanità.
In questi ultimi tempi anche i grandi sommovimenti istituzionali che hanno attraversato il continente latino americano, se letti con lo sguardo che guarda in basso e non solo all’alto, ci parlano delle speranze, delle aspirazioni di tante e tanti e di come questa complessità non sia racchiudibile in alcuna ricetta istituzionale.
Siamo appena tornati dal Terzo Incontro Internazionale, che si è svolto nel Caracol de La Garrucha in Chiapas “la Comandanta Ramona e le zapatiste” in cui le donne zapatiste hanno voluto narrare la loro storia.
Anche in questo caso quello che abbiamo portato a casa non è un modello o un dogma ma la forza della riaffermazione che “cambiare il mondo” parte dal riconoscimento delle differenze, dalla lotta contro le forme del potere, dall’affermazione biopolitica dell’autodeterminazione della propria esistenza così come sta succedendo con il protagonismo delle donne anche nei nostri territori.
Un filo in più che porta a specchiarci, per essere anche noi specchio nel caleidoscopio delle soggettività che partecipano attivamente ai movimenti collettivi.
Per questo continuare ad intessere reti, relazioni progetti con l’altro lato dell’oceano ci pare oggi più che mai interessante.
Questo non ci impedisce di voler concretizzare la possibilità di costruire con altre complessità continentali la stessa condivisione e fratellanza.
Anzi la nostra scommessa è proprio quella di riuscire ad iniziare a frequentare l’immenso continente asiatico, con tutto quello che comporta a livello globale e locale, iniziando ad aprirci brecce di relazioni e rapporti … oppure andare oltre l’immagine devastata del continente africano ed approfondirne gli aspetti celati.
Ma quali strumenti e percorsi possiamo utilizzare come zainetto in spalla per camminare? Come riattualizzare la strada che abbiamo fatto? Visto che come dice un vecchio adagio a volte bisogna fare un passo indietro per farne due in avanti...
Oltre i progetti per la condivisione
All’inizio della nostra strada abbiamo creativamente cercato di dar vita ad esperienze di diplomazia dal basso, attuando in pratica un modo diverso di agire da quella che normalmente veniva definita “cooperazione internazionale”.
Abbiamo iniziato a pensare ed agire come riconoscimento tra comunità, come pratica di solidarietà che divenisse azione politica, come progetti che sfidassero le norme delle consuete logiche della “cooperazione” verso luoghi considerati “Terzi”.
Tutto questo considerando anche il panorama desolato in cui la ”cooperazione” era vista: o come situazione comoda per salvarsi la coscienza o come inutile ridistribuzione di fondi mantenendo inalterato lo schema internazionale dello sfruttamento.
Poi “cooperazione”, “diplomazia locale” etc..., al di là della onesta partecipazione di molti, hanno dimostrato, illuminati dalla luce delle operazioni militari di guerra, tutta la loro ambiguità.
Il verde militare è diventato il colore delle operazioni umanitarie e la divisa mimetica il vestito di molte ONG ed associazioni varie.
Questo non solo nei luoghi della guerra dichiarata ma anche come corollario ad operazioni internazionali presentate come neutrali.
Facciamo alcuni esempi: la cooperazione con il governo colombiano per la riabilitazione dei gruppi paramilitari, le missioni di salvaguardia ambientale che fanno da apripista allo sfruttamento delle risorse o alla brevettabilità del vivente, che sono la nuova frontiera dello sfruttamento biopolitico...“Embedded”, “arruolato” è diventato al di la del luogo dove avviene, uno status in voga ed essenziale nella cooperazione internazionale.
Tutto questo non è solo dovuto all’accondiscendente atteggiamento necessario per avere accesso alle linee di finanziamento ma anche all’ articolazione complessa del comando nell’epoca imperiale, che tende a sussumere ed rifunzionalizzare i multipli aspetti delle espressioni di cooperazione.
Per certi versi anche la versione più caritatevole della “cooperazione”, quella più innocente, quella verso le barbare situazioni di povertà in Africa o dopo le grandi catastrofi naturali vengono rese funzionali al mantenimento dello status quo o inserite nel ridisegno dei territori (vedi i testi di Arundhati Roy o l’ultimo libro di Naomi Klein).
Nel nostro piccolo tutto questo è stato lo stimolo essenziale per ri-pensare i progetti di cooperazione come azioni di condivisione di saperi, risorse ed esperienze, come intreccio di relazioni politiche e di comunità.
Con questa voglia di sperimentazione continua possiamo affrontare l’idea di progettare con altre comunità in lotta progetti comuni.
Questa ricerca ci ha portato ad appoggiare le Giunte del Buongoverno Zapatista, gli accampamenti dei Sem Terra, le esperienze di cooperazione urbana in resistenza mettendo in comunicazione le reciproche conoscenze e la reciproca creatività.
Per continuare questa strada abbiamo bisogno di sostenerci, di allargare la conoscenza delle proposte che costruiamo.
Molti oltre noi stanno cercando un modo di affrontare questo terreno al di là dei luoghi comuni e con molti possiamo costruire nuove esperienze.
L’abbiamo visto nei Progetti sulla salute come diritto al benessere, sull’educazione come formazione, sull’accesso alle risorse come l’acqua in termini di diritto e non di merce, sulla realizzazione di spazi informativi liberi.
L’abbiamo visto negli scambi e relazioni con le esperienze di donne, che costruiscono percorsi di alternativa reale al sistema di sfruttamento biopolitico, partendo dalla loro autodeterminazione.
In ognuno di questi Progetti si intersecano saperi locali, condivisione, sfida all’esistente e cooperazione libera.

Oltre il turismo solidale per essere cittadini globali
L’ansia di conoscere, viaggiare, visitare luoghi lontani è ormai un desiderio di molti, proprio nell’epoca in cui Internet e la rete disegnano il mondo come uno spazio frequentabile quotidianamente.
In molti casi la voglia è quella di non frequentare le moderne rotte commerciali del turismo ma di fare esperienza, di vivere da cittadini globali in territori diversi.
In un mondo dove l’inarrestabile fenomeno delle migrazioni dà la misura umana della globalizzazione, il diritto a circolare oltre ogni frontiera assume anche l’aspetto del “viaggio”.
In un momento in cui la speculazione turistica vorrebbe spazzare via tanti spazi ed ecosistemi mettendo al loro posto il cartello “in vendita”, costruire percorsi di conoscenza-esperienza non solo rappresenta giustamente la possibilità di valorizzare le reti che resistono nei loro territori, ma anche dare la possibilità di viaggiare da cittadini globali.
In questi anni abbiamo costruito carovane in luoghi sotto attacco, delegazioni di incontro con esperienze di lotta ed oggi sarebbe bello strutturare ed ampliare queste strade, renderle accessibili costantemente.
Facciamo qualche esempio
La Patagonia: girarla sul trenino dell’Impero Benetton per visitare il Museo sui Mapuche o camminare insieme alle donne e agli uomini Mapuche per entrare nelle loro case?
L’Ecuador: viaggiare nei depliant patinati, anche alternativi, dei Parchi Naturali e delle coste incontaminate o vedere il volto vero della devastazione petrolifera e conoscere le storie dei popoli locali nell’immensa bellezza dell’Amazzonia e passare alle spiagge autogestite de la Comune di Salango?

Oltre il commercio solidale per lo scambio rebelde
Comunità in lotta e resistenza producono quotidianamente la loro esistenza.
In molti casi cercano di liberarsi dalle catene più strette dello sfruttamento materiale costruendo una cooperazione libera e diversa.
Questo non significa automaticamente il “sovvertimento” delle regole dell’economia ma la ricerca di garantirsi alcuni diritti, la valorizzazione delle proprie capacità diverse come sono diversi i contesti in cui si vive.
Cercare di strutturare reti di condivisione e distribuzione di quello che le comunità producono in forma materiale ed immateriale può rappresentare uno spazio di autodeterminazione.
Non vogliamo essere assurdi ma semplicemente rafforzare la possibilità di circolazione delle culture, dei prodotti, della creatività.
Creare circuiti in cui “un prodotto” parli di quello che c‘è dietro e non per il certificato che lo marchia, ma per la storia che racconta.
Lo ripetiamo non pensiamo solo a prodotti materiali ma anche ai video, alla musica, all’informazione, alla comunicazione.
Quante volte ci è capitato che dietro il pacchetto del Cafè Rebelde Zapatista nascessero altre storie.
Ed allora perché non amplificare queste occasioni dal Brasile, dall’Argentina etc..?
In conclusione vogliamo continuare ad essere quello che ci ha portato ad iniziare .. uno spazio comune per tant@ gente che vuole procedere "camminando, domandando" ....

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