mercoledì 29 dicembre 2004

29/12/2004 | Carovana Ya Basta! Una visita a Radio La Colifata




“Io non sono pazzo sono “colifato”,
pazzi sono quelli che fanno la guerra”
Una visita a Radio LA COLIFATA


Durante la carovana di YA BASTA! in Argentina gli attivisti hanno fatto una visita all’ospedale neuropsichiatrico Josè T. Borda, dove si svolge un'esperienza cominciata 13 anni fa proposta dallo psicologo Alfredo Oliviera quando ancora frequentava il primo anno di università. I pazienti dell’ospedale gestiscono una radio che trasmette dall’interno del nosocomio. I “yabastini” sono stati ricevuti con una calda e curiosa accoglienza, hanno fatto un'intervista in diretta sulla loro visita e l'esperienza manicomiale in Italia, sulle nuove proposte del governo Berlusconi rispetto alla Legge 180. Poi fuori trasmissione hanno fatto conversazione con i pazienti, e i presenti di origine italiana, hanno colto l’occasione per esprimere con piacere la lingua dei genitori. La Colifata è un progetto che si propone degli obiettivi che riguardano i pazienti e la comunità esterna, nel campo clinico terapeutico e nel campo comunitario per combattere lo stigma e l'emarginazione. Per arrivare a tutto il territorio ritrasmettono i microprogrammi creando un “ponte” con altre radio nazionali, proponendo uno spazio di comunicazione diretta con gli ascoltatori, facendo mettere in discussione i pregiudizi e riflettendo sui miti della follia, miti che danno come certo che la follia sia qualcosa di pericoloso, violento o idealizzandola come forma romantica e poetica. Alfredo dice che la “certezza diventa domanda” e questo da luogo alla prima istanza, quella della riflessione. La seconda è quella dell'azione, dove gli ascoltatori hanno la possibilità di contribuire con le proprie iniziative al progetto de La Colifata e a sviluppare la loro soggettività; un lavoro di promozione e prevenzione della salute nel campo comunitario. I pazienti che si trovano a trasmettere e finalmente a poter parlare con libertà, si incontrano con le mille voci degli ascoltatori, che anche attraverso i loro dubbi, paure e pregiudizi iniziali, danno un’opportunità alla parola e al legame sociale soprattutto grazie alla circolazione orizzontale dell’informazione. Un esempio è quello di un ascoltatore che appassionato dell'onda corta, ha gestito il programma da una radio dell'Antartide, ed è stato sentito da tutto il mondo; in seguito lo hanno invitato a scrivere in diverse riviste, questo ha permesso anche a lui uno spazio proprio e ai pazienti di allargare lo spazio comunicativo e ricevere lettere da tanti paesi. Allora l’obbiettivo a livello comunitario può essere quello di mettere a disposizione e autogestire un canale per tutti utilizzando il mezzo democratico della comunicazione. Una esperienza che permette di promuovere le risorse di salute della comunità senza essere psichiatri, psicologi, operatori psichiatrici, semplicemente dal proprio saper fare. Alfredo lo definisce come un progetto politico, etico-terapeutico, ed estetico. Politico perché cerca di trasformare la realtà istituzionale con l’obiettivo di criticare radicalmente l’esperienza manicomiale; nel piano etico-terapeutico si crea uno spazio dove si recupera e si produce soggettività e contemporaneamente, insieme ai terapeuti, si utilizza lo strumento-radio per impostare i progetti “di presa in carico” di ogni paziente; ed estetico in quanto il dolore si trasforma in metafora, i pensieri dei pazienti vengono percepiti come poesia da chi ascolta e risponde, avvicinandoli e sentendosi così nuovamente persone, un modo di rompere i muri che separano quelli che stano dentro da quelli che stanno fuori. Colifata, o colifato, vuol dire pazzo in senso affettuoso, ed è stato scelto dagli ascoltatori dopo che i pazienti avevano proposto 40 nomi da dare alla loro radio. Le trasmissioni vengono fatte dall’esterno dei padiglioni, all’aperto, perché non ci sono le risorse economiche. “Aqui hace un poco de frio però el calor humano està presente” (qui fa un po’ freddo ma il calore umano è sempre presente) dice la voce di un paziente che trasmette. Attualmente sono riusciti a costruire uno studio dove possono lasciare tutta l'attrezzatura della radio, ottenuta grazie a una festa “colifata” organizzata a Barcellona con musicisti della strada, che con l’appoggio di Manu Chao, hanno registrato un cd mixando le canzoni con le voci dei pazienti che trasmettono in uno studio artigianale. Il disco si chiama “La Colifata, siempre fui loco”, che viene distribuito e venduto dagli stessi musicisti in Spagna e dai pazienti del Borda in Argentina. Un sistema di distribuzione più giusto, dove un 80% è per i gruppi venditori e il 20% è per i costi di produzione e i progetti, ha permesso di dare lavoro ai pazienti, come il caso di un donna che prima chiedeva l’elemosina per le strade di Buenos Aires. Avremo la possibilità di conoscere, ascoltare e discutere con Alfredo e uno dei protagonisti della radio, in una tavola rotonda che si presenterà nella quinta edizione della Rassegna MALATI DI NIENTE a Jesi nel mese di maggio 2005, dove sarà presente anche Simonetta Di Girolamo che lavora a Parigi con l’Atelier du non faire. Il sito della radio è www.lacolifata.org dove si può incontrare tutto ciò che riguarda questo interessante progetto. In Italia è stato realizzato un video da Valentina Monti e Mirta Morrone. Video che sarà presentato nella rassegna “Malati di niente”, con immagini delle votazioni fatte dai pazienti del Borda nelle elezioni presidenziali del 2003, votazioni simboliche, perché in Argentina gli internati nei manicomi hanno i diritti costituzionali sospesi.
Chi fosse interessato al cd “La Colifata, Siempre fui loco” o ad avere maggiori informazioni può contattare direttamente
l’associazione Ya Basta! Marche, yabastamarche@libero.it.
Visita il sito di Radio "La Colifata"
Il sito dell'ass. Ya Basta!

venerdì 17 dicembre 2004

17/12/2004 | "ENERO AUTONOMO 2005" II Incontro dei movimenti sociali in Argentina


ARGENTINA - Pubblichiamo l'appello di convocazione dell'incontro internazionale "Enero Autonomo", secondo appuntamento della "Ronda de Pensamiento Autonomo", alla quale parteciperanno delegazioni dei movimenti sociali attivi in Argentina e in America Latina. RONDA DE PENSAMIENTO AUTONOMO II Incontro Internazionale dei movimenti sociali 20/23 gennaio 2005 LA MATANZA Pcia. BUENOS AIRES www.eneroautonomo.org.ar eneroautonomo2005@yahoo.com.ar Dalle terre del sud nuovamente vi convochiamo , per incontrarci, per costruire nuove strade da percorrere insieme . Vi invitiamo a condividere, la vita di tutti i giorni. Perché la politica non si riduce solo a parole e manifestazioni , a negoziati e concentramenti, perché la vita si fa giorno dopo giorno, nel lavoro, nel rapporto quotidiano. Non abbiamo una meta prefissata del dove arrivare, semplicemente vogliamo camminare e costruire, senza tutori, senza che altri camminino per noi. Con libertà e autodeterminazione. Oggi in America Latina, ci vogliono convincere che possano esistere governi buoni che vogliono salvarci dall'imperialismo, inalberando le bandiere populiste di un capitalismo più umano. Non ci interessano presidenti e governi che si mettono d'accordo fra loro, che trattano con le nostre vite. Ci fidiamo solo delle nostre forze e non abbiamo nessuna intenzione di regalare la nostra potenzialità. Attraverso questo incontro cerchiamo di potenziare le nostre esperienze, di costruire ponti fra i nostri percorsi, e di costruirne di nuovi. In questa epoca di massiccia comunicazione che spesso disinforma, vogliamo incontrarci, scavalcare la frammentazione e l'isolamento, senza scorciatoie, per il cammino più difficile, quello che si deve percorrere reinventandosi in continuazione, dove non si possa fare a meno di imparare ad ogni passo. A llorar a la iglesia, para nosostros la alegre rebeldia!! Il secondo incontro Gennaio Autonomo si svolgerà dal 20 fino al 23 gennaio 2005: Giovedì 20: accrediti, accoglienza, sistemazione in tende e grande fuoco comunitario. Venerdì 21 e sabato 22: laboratori, tavola rotonda (rondas), aggregazione, scambi, musica, pasti solidali. Domenica 23: cerimonia di addio. Rivalorizziamo -anche questa volta- una fabbrica inattiva, con buone installazioni. Per coloro che conoscono Buenos Aires: si trova nella zona di La Matanza. Per chi invece non conosce il luogo, può mettersi in contatto con noi. La pagina WEB www.eneroautonomo.org.ar sarà sempre aggiornata con tutta l'informazione necessaria. Se ci sono delle difficoltà vi chiediamo di scriverci a eneroautonomo2005@yahoo.com.ar per informazioni, iscrizioni a laboratori, idee, dubbi e per tutto il necessario. Un pò di storia Enero autónomo nasce dopo una convocazione dei "movimenti sociali", che dall' interno delle esperienze popolari, hanno scelto l'autonomia, l'orizzontalità e la libertà, come inizio del processo di costruzione del cambio sociale. Dato che questi possono essere concetti molto difficili da trasmettere con parole, è stato deciso di utilizzare queste tre semplificazioni come elementi guida, consapevoli che alla fine sono le pratiche quotidiane ciò che definiscono concretamente l'agire. "..... In maniera molto sintetica si può dire che abbiamo compreso che il cambiamento avviene attraverso noi stessi in un continuo fluire che parte e ritorna da noi. Dove i nuovi soggetti sono essi stessi i protagonisti , soggetti che hanno smesso d'aspettare il lider , e che sanno di non essere soli, che lavorano con i propri compagni , giorno per giorno in un nuovo rapporto...." Dopo il I ENERO AUTONOMO ,dove hanno partecipato quasi due mila persone attraversando 46 laboratori ,si sono succeduti degli incontri mensili fra i movimenti dei disoccupati, assemblee di quartiere , spazi occupati , popoli originari, cioè molti compagni, sorelle e fratelli con diverse problematiche e diverse pratiche di autonomia, si sono ritrovati insieme con l'obiettivo di scambiarsi esperienze e riflettere collettivamente, verso l'Enero Automo 2005. Non si può dire che incontri come Enero Autonomo abbiano una lunga storia . Nemmeno si può dire che siano dei pionieri, ma la novità è che la convocazione è attiva, la proposta è quella di riflettere sulle esperienze concrete e arricchire le pratiche. Senza dubbio il Foro Sociale Mundial è un grande punto di riferimento per la lotta al neoliberismo, in questo senso molto valido, molto globalizzante, ma, tanto il suo asse principale , come i dinamismi organizzativi, sono diversi, come ci si augura che continui ad essere l' incontro del Enero Autonomo, che gira intorno all'autonomia e intorno a coloro che gli hanno dato corpo. Anche se ci sono già delle tematiche di discussione, si lascia comunque il canale aperto a tutte le proposte, ma non viste o pensate come conferenze o come laboratori con oratori fissi, ma che siano come rondas ( tavola rotonda , cerchi di discussioni) più piccoli o più grandi, dove tutti abbiano l'opportunità di partecipare e portare la propria esperienza di lotta. Non si pretende che Enero Autonomo sia "l'evento" fra virgolette, dove poi rimane tutto li in maniera statica, ma che esso dia un contributo di arricchimento all'autonomia del "giorno dopo giorno" ed in diversi luoghi del mondo Enero autonomo nasce della ronda di pensamento autonomo, prende corpo da coloro che vi partecipavano, che c'erano, che si incontravano ogni mese per scambiare le proprie esperienze, perciò non risponde all' appello di una sovrastruttura internazionale, e nessuno intende farla diventare tale. Questo spazio viene aperto anche alle sorelle e ai fratelli d'altri paesi e si fa' semplicemente per arricchirsi mutuamente, non soltanto per raccontarci cosa ci succede ma anche per capire le strade che si possono percorrere pratiche diverse. Questo scambio porterà sicuramente a un profondo dibattito dal quale non ci si aspetta una conclusione monolitica, ma l'inizio di una costruzione collettiva dove la diversità sia riconosciuta e si possa imparare a lavorare insieme. Altrimenti si ritornerebbe al pensiero unico. La crisi che scoppia in Argentina il 19 e 20 dicembre 2001 è un prodotto storico culturale. In qualche modo si può dire che c'è una continuità storica nelle lotte popolari, ma nel caso delle asemble di quartiere, ad esempio, si è rotto definitivamente con la cultura individualista di lamentarsi dentro casa o al bar; si decide di uscire per strada e li ognuno si è riconosciuto nell'altro. Si è anche spezzata la cultura dell' avanguardia e si è capito che la capacità di gestire il nostro futuro era ed è in ognuno di noi, tra coloro che si stringono uno con l'altro nella vita quotidiana, che tutti noi possiamo essere gli artefici del cambiamento, nessuno si aspetta più le magiche soluzioni calate dall'alto. Per quanto riguarda i movimenti lavoratori disoccupati, coloro che oggi condividono la Ronda hanno percorso e percorrono dall' inizio del cammino la pratica dell'autonomia, perciò la colonna forte di questi MTD, non è la disoccupazione, ma il come iniziare la trasformazione sin dal quotidiano, dalle pratiche concrete, da questa realtà. A ogni modo si preferisce non mettere etichette come "piqueteros", "asamblee, "popoli originari", ma invece pensare a cosa si può fare insieme per trasformare questa realtà che colpisce tutti in modo diverso. C'è tanto da condividere, si sta' producendo molto,si stanno producendo beni materiali, come anche nuovi pensieri , nuove soggettività; buone motivazioni per lo scambio e il rafforzamento.

martedì 9 novembre 2004

09/11/2004 | Carovana Ya Basta! - Viaggio nell'Argentina che resiste.


ARGENTINA - Continua il viaggio della carovana Ya Basta! in Argentina. Gli attivisti hanno partecipato al picchetto che il movimento piquetero organizza ogni mese per chiedere giustizia sul massacro del Ponte Pueyrredón, dove nel 2002 per mano della repressione poliziesca persero la vita Dario Santillán e Maximiliano Kosteki. [Audio 1] Le forme di autogoverno all’interno dei singoli barrios e la gestione comunitaria dei meccanismi decisionali nei quartieri autogestiti a Buenos Aires. [Audio 2] - 6 novembre Carovana Ya Basta! Viaggio nell’Argentina che resiste. Le forme di autogestione della produzione nelle fabbriche recuperate, l’impegno costante per la verità e la memoria delle Madres de Plaza de Mayo e dell’associazione H.i.j.o.s. [Leggi] - Speciale Argentina 2004 Diario della carovana Ya Basta!

mercoledì 3 novembre 2004

03/11/2004 | Carovana Ya Basta! - I movimenti sociali e la situazione politica argentina


ARGENTINA - Nei giorni di permanenza in Argentina la delegazione di Ya Basta! ha avuto la possibilità di conoscere direttamente e approfondire l’analisi sulla situazione politica e la realtà sociale argentina dalla prospettiva dei soggetti conflittuali che proseguono nella sperimentazione di nuove forme di relazione e organizzazione sociale. Il contesto politico negli anni del governo Kirchner, la solidità delle esperienze di autorganizzazione nonostante la dura campagna di repressione. - La corrispondenza di Susana, Ya Basta! Marche.

venerdì 15 ottobre 2004

15/10/2004 | Argentina - Il diario della carovana di Ya Basta!


ARGENTINA - Il diario della carovana di Ya Basta! Il resoconto delle prime giornate in Argentina, dalle iniziative di lotta a Buenos Aires per l’anniversario del Columbus Day alle realtà di autorganizzazione sociale del movimento piquetero a Solano. La delegazione di Ya Basta è arrivata a Buenos Aires nella giornata di martedì 12 ottobre, dove ha potuto raccontare e partecipare alle mobilitazioni organizzate nella capitale in coincidenza del Columbus Day, scadenza simbolica assunta da tutti i movimenti latinoamericani contro l'oppressione della popolazione indigena e la seconda colonizzazione neoliberista. Nei giorni seguenti la carovana si è trasferita a Solano, a trenta chilometri da Buenos Aires, nella zona dei quartieri autogestiti dal movimento piquetero del Mtd. La corrispondenza di Susana, Ya Basta! Marche - Le iniziative a Buenos Aires e le forme di autorganizzazione sociale a Solano. - La realtà del Centro di Salute autogestito e i prossimi appuntamenti della delegazione.

martedì 12 ottobre 2004

12/10/2004 | Argentina - Partita la carovana di Ya Basta!


ARGENTINA - E' arrivata a Buenos Aires la delegazione di Ya Basta! che consoliderà la rete di solidarietà con la società civile argentina che resiste al neoliberismo e alla guerra nella sperimentazione dell'autorganizzazione sociale. Dal lavoro comune con il movimento piquetero nel 2003 è nato il progetto del Centro di Salute Autogestito, un ambulatorio popolare da realizzare a Solano (provincia di Buenos Aires). Sarà dal sostegno diretto a questa iniziativa che inizierà l'ultima tappa del programma di carovane organizzato da Ya Basta! per il 2004. Leggi lo speciale Argentina (a cura di Ya Basta! Marche) Vai allo speciale Carovane Ya Basta! 2004

lunedì 4 ottobre 2004

04/10/2004 | Marcos: La velocità del sogno 1/2/3


CHIAPAS - Dalle montagne del sud-est messicano un nuovo comunicato del Subcomandante Marcos. Dopo la serie di otto interventi che ha interrotto il lungo silenzio dell'EZLN, gli zapatisti riprendono la parola. Visita il sito del FZLN. Leggi gli otto interventi precedenti - (da GlobalProject.info). "LA VELOCITA' DEL SOGNO" Prima parte - Stivali L'alba si attarda sulle montagne del Sudest messicano. Come se non avesse fretta, si crogiola deliziandosi in ogni angolo, come un’amante paziente ed affezionata. La nebbia le scivola dalla mano, con il suo lungo abito di nuvola e riesce a coprire la luce più intensa, le tende un cerchio, la circonda con la sua coltre di nuvola, la racchiude in un ampio cerchio. Dalla metà del cielo, la luna batte in ritirata. Una voluta di fumo si confonde con la foschia, lentamente, con la stessa lentezza con la quale la nuvola, sotto l'ampio volo del suo nagua, copre le capanne sparse. Tutti dormono. Tutti meno l'ombra. Tutti sognano. Soprattutto l'ombra. Tende appena la mano ed afferra una domanda. Qual'è la velocità del sogno? Non so. Forse è... No, non lo so... In realtà, qua, quello che si sa, si sa in maniera collettiva. Sappiamo, per esempio, che siamo in guerra. E non mi riferisco solo alla guerra propriamente zapatista che non cessa di soddisfare le ansie di sangue di alcuni mezzi di comunicazione e di alcuni intellettuali "di sinistra", tanto attenti gli uni alla quantità di morti, feriti e scomparsi, e gli altri a tradurre i morti in errori "per non aver fatto quello che io avevo detto loro". Non solo, parlo anche di questa che noi chiamiamo "IV Guerra Mondiale" lanciata dal neoliberismo e contro l'umanità. Quella in atto su tutti i fronti e in ogni luogo, comprese le montagne del Sudest messicano. La stessa che in Palestina e in Iraq, in Cecenia o nei Balcani, in Sudan o in Afghanistan, con eserciti più o meno regolari. Quella che, il fondamentismo dell'una e dell'altra fazione porta in tutti gli angoli del pianeta. Quella che, assumendo forme non militari, miete vittime in America Latina, nell'Europa Sociale, in Asia, in Africa, in Oceania, nel Lontano Oriente, con bombe finanziarie che mandano in pezzi interi stati nazionali ed organismi internazionali. Questa guerra che, secondo noi (insisto: tendenzialmente) vuole distruggere/spopolare territori, ricostruire/riordinare le geografie locali, regionali e nazionali e creare, a ferro e fuoco, una nuova cartografia mondiale. Questa che, sul suo percorso, continua a lasciare la sua firma: la morte. Forse la domanda "Qual'è la velocità del sogno?" dovrebbe essere accompagnata dalla domanda "Qual'è la velocità dell'incubo?" Ancora alcune settimane prima degli attentati terroristici dell'11 marzo 2004 in Spagna, un giornalista-analista politico messicano (di quelli a cui quando si dà un dolcetto si sciolgono in lodi ridicole) lodava la visione "dello Stato" di José María Aznar. L'analista diceva che, accompagnando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna nella guerra contro l'Iraq, Aznar aveva ottenuto una promettente possibilità per l'espansione dell'economia spagnola e che l'unico costo che doveva pagare era il dissenso di una "piccola" parte della popolazione spagnola, "i radicali che non mancano mai, perfino in una società tanto fortunata come quella spagnola", ha detto "l'analista". Inoltre, ha aggiunto che gli spagnoli dovevano solo aspettare comodamente seduti che l'affare della ricostruzione dell'Iraq si mettesse in marcia ed allora avrebbero cominciato a ricevere denaro a carrettate. Insomma, un sogno. La realtà non ha tardato a passare per riscuotere il vero conto della "visione dello Stato" di Aznar. Quella mattina dell'11 marzo si compiva quella cosa che l'Iraq non sta in Iraq, voglio dire non solo in Iraq, bensì in tutto il mondo. Infine, la stazione di Atocha come sinonimo di incubo. Prima dell'incubo c'era il sogno, ma il sogno neoliberista. Molto prima degli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 in territorio statunitense, la guerra contro l'Iraq si era messa in moto. Non c'è niente di meglio di una foto per andare a quell'inizio... Suolo piatto, rossiccio. Sembra essere duro. Forse argilla o qualcosa di simile. Uno stivale. Solo, senza il suo paio. Abbandonato. Senza un piede che lo calzi. Alcuni rottami sparsi. In realtà, lo stivale sembra una maceria in più. È tutto quello che c'è nell'immagine, cosicché è la didascalia della foto che chiarisce che si tratta dell'Iraq. La data? 2004, settembre. Non si riesce a distinguere se è lo stivale di qualcuno che è morto, che l'ha abbandonato nella fuga, o se si tratta semplicemente e normalmente di uno stivale buttato via. Non si sa neanche se è lo stivale di un soldato statunitense o britannico, o di un combattente della resistenza, di un civile iracheno o di un altro paese. Tuttavia, nonostante la mancanza di altre informazioni, l'immagine dà un'idea di quello che è l'Iraq del "dopoguerra" di Bush: violenza, morte, distruzione, desolazione, confusione, caos. Tutto un programma neoliberista. Se il falso argomento che la guerra contro l'Iraq era una guerra "contro il terrorismo" è venuto meno, le vere ragioni emergono ora, più di un anno dopo che, con l'aiuto dei carri armati da guerra statunitensi, è stata abbattuta la statua di Hussein ed un euforico Bush ne erigesse un'altra a se stesso dichiarando la fine della guerra. (Probabilmente, la resistenza irachena non ha sentito il messaggio di Bush: il numero di soldati statunitensi e britannici morti e feriti non ha fatto altro che aumentare da quando "è finita la guerra" ed ora si aggiungono le morti di civili provenienti da varie nazioni). L'ideologia neoconservatrice negli Stati Uniti ha un sogno: costruire la "disneyland" neoliberista. Al posto di un "villaggio modello", come dettato dai manuali di controinsurrezione degli anni '60, si è tentato di costruire una "nazione modello". Si è scelto allora il territorio dell'antica Babilonia. Il sogno della costruzione di un "esempio" di come deve essere il mondo (sempre secondo i neoliberisti) si è nutrito della "(...) più apprezzata credenza tra gli architetti ideologici della guerra (contro l'Iraq): che l'avidità è buona. Non solo buona per loro ed i loro amici, ma buona per l'umanità e certamente buona per gli iracheni. L'avidità crea guadagni, i quali creano crescita, la quale crea lavoro, prodotti e servizi e qualunque altra cosa di cui qualcuno possa aver necessità o desiderio. "Il ruolo di un buon governo, quindi, è quello di creare le condizioni ottimali affinché le corporazioni portino avanti la loro avidità senza fondo, in modo che, quando tocca loro, si possano soddisfare le necessità della società. "Il problema è che i governi, anche i governi neoconservatori, hanno raramente l'opportunità di provare quanto sia corretta la loro sacra teoria: nonostante i loro enormi sforzi ideologici, perfino i repubblicani di George Bush, nei loro stessi vertici, sono eternamente sabotati da impiccioni democratici, sindacati ostinati ed allarmati ambientalisti. L'Iraq doveva cambiare tutto questo. In un luogo della Terra, finalmente la teoria sarebbe stata messa in pratica nella sua forma più perfetta e pura. "Un paese di 25 milioni di abitanti non sarebbe stato ricostruito come era prima della guerra: sarebbe stato cancellato, sarebbe scomparso. Al suo posto sarebbe sorta un'abbagliante sala d'esposizione per le politiche del laissez-faire, un'utopia come il mondo non aveva mai visto" ("Baghdad anno zero. La rapina dell'Iraq dietro un'utopia neoconservatrice", Naomí Klein, Harper's Magazine, settembre 2004). Invece, l'Iraq è un esempio sì, ma di ciò che aspetta il mondo intero se i neoliberisti vincono la grande guerra, la IV Guerra Mondiale: disoccupazione a quasi il 70%, l'industria ed il commercio paralizzati, aumento esorbitante del debito estero, muri anti-attentati da tutte le parti, crescita esponenziale del fondamentalismo, guerra civile... ed esportazione del terrorismo in tutto il pianeta. Non voglio saturarvi con qualcosa che quotidianamente trovate nei notiziari: offensive militari della coalizione (attenzione: in una guerra che "è già finita"), mobilitazione della resistenza irachena, attentati, attacchi ad obiettivi militari e civili, sequestri, esecuzioni, nuove offensive della coalizione, nuova mobilitazione della resistenza irachena, eccetera. Sono sicuro che trovate esaurienti informazioni sulla stampa di tutto il mondo. In lingua spagnola, senza dubbio la miglior fonte è il quotidiano messicano La Jornada che conta tra i suoi collaboratori alcuni degli analisti più seri e documentati sulla questione dell'Iraq. La cosa sicura è che questo video l'abbiamo già visto prima da altre parti... e continuiamo a vederlo: Cecenia, i Balcani, Palestina, Sudan, sono solo esempi di questa guerra che distrugge nazioni per cercare di "riconvertirle" in "paradisi"... mentre finiscono per essere trasformate in inferni. Uno stivale abbandonato sulle terre dell'Iraq "liberato" riassume il nuovo ordine mondiale: la distruzione di nazioni, la desertificazione di qualsiasi segno di umanità, la ricostruzione come riordinamento caotico delle rovine di una civiltà. Tuttavia, ci sono altri stivali, anche se pochi... Stivali rotti. Sì, gli stivali dell'insurgenta Erika sono rotti. Nella punta destra davanti, la suola è staccata e conferisce allo stivale un aspetto di bocca insoddisfatta. Le dita non sono ancora visibili, cosicché la Erika non sembra essersi accorta che i suoi stivali, precisamente il destro, sono rotti. Fin dai primi giorni nella montagna, il guardare verso il basso diventò per me un'abitudine. La calzatura normalmente è uno dei sogni/incubi del guerrigliero (altri? lo zucchero, avere i piedi asciutti ed altre ossessioni piuttosto umide), cosicché egli le dedica buona parte delle sue attenzioni. Forse per questo motivo si acquisisce quella mania di guardare sempre i piedi degli altri. La insurgenta Erika è venuta ad avvisarmi che avevano appena pubblicato il racconto L'arancia magica (ultima produzione di Radio Insurgente che racconta di... bene, è meglio se l’ascoltate direttamente). Io le rispondo che ha lo stivale rotto. Lei abbassa lo sguardo e mi dice "anche tu". Saluta militarmente e va via. La Erika si cambia perché tra poco giocheranno a calcio due squadre di insurgentas, una si chiama "8 Marzo" e l'altra "Le Principesse della Selva". Non so molto di calcio ma, a mio parere, le "principesse" giocano con un stile piuttosto lontano dalle buone abitudini della corte reale e quelle del "8 Marzo" giocano come se si trattasse della sollevazione del primo di gennaio. Cioè, buona parte di loro finisce nell'infermeria. Inoltre, ogni volta che giocano, le addette alla sanità tengono la barella a lato del campo. "Per non fare il giro", dicono. Poi hanno pareggiato. Cioè, le insurgentas hanno pareggiato giocando a calcio. Sono andate ai rigori perché continuavano ad essere in pareggio. La insurgenta Erika viene a dirmi questo. La Erika è la consulente sentimentale delle insurgentas, ma questa volta non viene a raccontarmi che ad una compagna "duole il cuore" per il mal d'amore, ma che la partita è finita e che lei va a parlare con il villaggio, più in concreto, con le donne dei villaggi. Si presenta come civile, cioè con abiti civili. Questo è quello che dice. Perché io vedo che porta degli stivali fabbricati nei laboratori zapatisti e che hanno sul lato il marchio "EZLN". "Mmh, se porti quegli stivali allora tanto vale che indossi l'uniforme completa", lei dico cercando di essere sarcastico. La Erika se ne va. Dopo un momento ritorna con l'uniforme. "Dove vai?", gli domando. "Al villaggio", risponde. "Ma, come ti viene in mente di andarci in uniforme?" le domando/rimprovero. "Perché così mi hai detto.", mi dice di averle detto. Capisco che è inutile tentare di spiegare le qualità della sottile ironia, quindi le ordino: "No, mettiti in abiti civili e togliti quegli stivali". Se ne va. Dopo un attimo ritorna con abiti civili... e scalza. Ho sospirato, che cos'altro potevo fare? Non credete alla Erika, il mio stivale non è rotto. È scucito, che non è la stessa cosa. Si staccato un occhiello ed è per questo che l'incrocio delle stringhe sembra il sistema politico nel neoliberismo, cioè, un groviglio in cui non si sa dove va la destra e dove va la sinistra. Sto spiegando questo a Rolando quando arriva... La Toñita Prima-Generazione, cioè la Toñita I (quella del bacio negato perché "pizzica tanto", quella della tazzina rotta, quella della pannocchia di mais promosso a bambola), ha già 15 anni. "Cioè ha compiuto i 14 ma è entrata nei 15 cioè, va per i 16", mi dice suo papà, un responsabile zapatista dei più vecchi tra noi. Io mi siedo, senza confessarlo, che non ho mai capito la matematica che regola i calendari nelle comunità ribelli zapatiste (dopo aver tentato inutilmente di spiegarmelo, il Monarca si rassegna ed aggiunge solo: "Credo che sia perché così è il nostro modo, che effettivamente è molto diverso"). Il papà della Toñita I (cioè della Toñita Prima-Generazione) è venuto perché io la vedessi, perché sono passati più di 10 anni da quando l'ho vista l'ultima volta. Dieci anni non passano invano, cosicché la Toñita I non solo non mi nega un bacio, ma senza che io riesca a dire niente mi abbraccia e mi stampa un bacio sulla guancia ovattata dal passamontagna e diventa tutta rossa (la Toñita I, non il passamontagna). Io non dico niente ma penso "Mmh, si mette male... e non mi sono tolto il passamontagna neanche per lavarmi". Intanto la Toñita I tira fuori dal suo zaino degli stivali e se li mette. Io sto per domandarle perché si mette gli stivali dopo avere camminato scalza per sei ore dal suo villaggio a qui, invece di metterseli per il cammino e toglierseli all'arrivo, ma la Toñita I mi precede e mi domanda se può andare "là" - e indica dove c'è un gruppo di insurgentas. La Toñita I sa quello che si può ottenere con un bacio, anche se sul passamontagna, così non aspetta la risposta e corre via. Mentre la Toñita I corre a vedere se la lasciano giocare nella partita di calcio delle insurgentas, suo padre mi racconta del suo villaggio (che io ho sempre chiamato, stando attento che nessuno mi sentisse "Cime Tempestose"). Sono riuscito a vedere la cicatrice di una ferita sul braccio sinistro della Toñita I, così gli domando di quella. Il papà della Toñita I mi racconta che un giovane del villaggio voleva portarsela alla latrina. (Nota: chiarisco all'ignaro lettore di queste righe che la latrina in alcuni villaggi non adempie solo alle sue odorose funzioni igieniche, ma suole essere anche luogo di incontro di coppie. Non sono pochi i matrimoni in comunità che hanno come origine il per nulla romantico luogo della latrina. Fine della Nota). Il caso vuole che la Toñita I non ha voluto andare alla latrina. "Cioè non le piaceva", mi conferma suo papà. Allora il ragazzo ha cercato di obbligarla e "dato che non le andava" - ribadisce suo papà - hanno lottato. La Toñita I è riuscita a fuggire ma, come succede, la cosa si è risaputa ed è giunta fino all'assemblea del villaggio. Il papà della Toñita I mi racconta che la volevano mettere in prigione. Io lo interrompo: "Perché, se è lei che è stata aggredita ed ha persino il braccio ferito?". "Ah, Sup, avessi visto com'era ridotto il giovanotto... - mi dice il papà - praticamente è rimasto menomato, il fatto è che la Toñita è molto… selvaggia". La Toñita I, oltre ad un viso grazioso, ha un fisico forte, cioè, come spiegarvi? Beh, per farvi capire vi dirò solo che Rolando vuole che giochi al centro della difesa nel torneo zapatista di calcio. "Ma la squadra delle insurgentas è già al completo", dico a Rolando. Lui aggiunge solo: "Non è per la squadra delle insurgentas, io la voglio per la squadra degli uomini". In quel momento passano le addette alla sanità con due insurgentas piuttosto peste. La Toñita I sta piangendo perché per colpa sua hanno assegnato due rigori alla squadra. A questo punto comprendo Rolando e mi rivolgo al papà e gli domando: "La Toñita non ha detto se vuole diventare insurgenta?". La Toñita I si è tolta gli stivali e li ha messi nel suo zaino. Se ne va con suo papà, camminando scalza. Non è molto che se n'è andata quando, accompagnata da sua mamma... appare la Toñita Seconda-Generazione, cioè la Toñita II. La mamma della Toñita II, o Seconda Generazione, si chiama Elena. È tenente insurgenta di sanità ed ha il merito di aver salvato la vita di diversi insurgentes e miliziani che, nel gennaio 1994, erano stati feriti nei combattimenti di Ocosingo. In un più che modesto ospedale da campo, Elena ha operato ferite d'arma da fuoco ed estratto pezzi di mitraglia dal corpo degli zapatisti. "Ci è morto un compa", mi disse allora. Non mi raccontò degli oltre 30 combattenti che oggi vivono e lottano in queste terre, quelli che aveva salvato. La Toñita II ha tre anni. "Cioè, ne ha compiuti due e va per i quattro?", mi affretto a dire prima della spiegazione di Elena. Lei ride. Voglio dire, Elena ride. Perché la Toñita II sta lanciando delle urla degne di miglior causa. È che, facendo uno sguardo civettuolo (il numero 7 del mio esclusivo "catalogo" di sguardi seduttori) le ho chiesto un bacio. La Toñita II non ha neppure detto "pizzica tanto" (cioè, non è una versione migliorata), semplicemente si è messa a piangere con tale veemenza che ha già al suo fianco un gruppo di insurgentas che le offrono caramelle, un sacchetto con un muso di coniglio (anche se a me sembra di tlacuache [mammifero marsupiale, n.d.t.] - il sacchetto, si capisce) e stanno persino cantandole la canzoncina del capretto, una canzonetta che gode di un inusitato successo tra i bambini e le bambine zapatiste. "Non ti vuole", mi dice la maggiore Irma facendo piovere sul bagnato. Io rispondo: "Bah, è pazza di me" e fingo di non avere il cuore a pezzi. Uscendo dallo spaccio, Rolando mi dà uno di quegli aghi chiamati "da cappotto" ed un rotolo di nylon. Nella capanna del comando generale dell'EZLN rifletto... Se non so qual’è la velocità del sogno, non so nemmeno se ricucirmi gli stivali o il cuore. (continua...) Dalle montagne del Sudest messicano Subcomandante insurgente Marcos Messico, settembre 2004, 20 y 10 (traduzione del Comitato Chiapas "Maribel" di Bergamo e del Comitato Chiapas di Torino) ______________________________________________________________________________ Seconda parte - Scarpe, scarpe da tennis, ciabatte, sandali, pantofole (in risposta ad una lettera inviata a fine agosto al subcomandante dal direttore di Carta, Pierluigi Sullo - n.d.r.) Settembre è il nono mese dell’anno e la Luna si presenta con una pancia come se fosse di nove mesi. E perfino arrossisce un po’ quando si lascia cadere ad occidente. La pioggia e le nuvole si sono affacciate ma, colte dalla pigrizia sono rimaste dietro la montagna, quella che si alza ad oriente. In basso, nel registratore, Tania Libertad canta quella che dice "non lo impediranno (...), nonostante l’autunno cresceremo". Confusa nelle ombre, l’ombra scrive una lettera. Dopo "Esercito Zapatista eccetera" e la data, settembre 2004, si legge ... A: Pierluigi Sullo. Direzione del settimanale Carta. Italia, continente europeo, pianeta Terra. Pedro Luis, fratello: Ricevi un abbraccio dalle montagne del sudest messicano. Suppongo che ti sembrerà strano il "Pedro Luis", ma è che sono stato contagiato dal "modo" dei compagni di "zapatizzare" i nomi, quindi scrivo "Pedro Luis" per "Pierluigi". Bene, ho ricevuto la lettera che hai scritto e che non hai mandato. Cioè, ho ricevuto la lettera su Carta ["...recibí la carta en Carta" - in spagnolo diventa un gioco di parole, N.d.T.]. Mi spiego: mi hanno mandato una fotocopia della missiva apparsa su Carta (26 agosto-1 settembre 2004, anno VI, numero 31). Siccome il mio italiano non riesce nemmeno a somigliare "all’itagnolo" dei "turbineros e turbineras" (che anni fa hanno lavorato duramente per dare luce a La Realidad), ho dovuto chiedere che qualcuno mi facesse il favore di tradurla.. E lo hanno fatto ma in una neo lingua che qua chiamiamo "itazapagnolo" che, se la memoria non m’inganna, inaugurò la Vanessa quando, sempre disobbidiente, ha vissuto anni nella realtà zapatista. Stando così le cose, ho dovuto ricorrere ad alcuni dizionari che ci avevano inviato tempo fa (non mi ricordo, credo fosse Mantovani o Alfio). Dunque, prima si sono dovuti cercare e trovare i dizionari che, com’era d’aspettarsi, livellano una gamba di un tavoli di uno dei comandi generali dell’unico ezetaelene. Cioè, c’ho messo tempo ad intuire, più che a sapere, quello che diceva la lettera di Carta. Forse mi sono sbagliato, ma sono riuscito a capire che l’obiettivo della tua missiva è salutarci... ed esporre problemi. Il genere epistolare è, secondo la mia umile opinione, uno dei mezzi migliori per il dibattito (un altro, ancora meglio, è la pratica politica). Non lo dici apertamente, ma chiunque potrà rendersi conto che, in fondo, la tua lettera espone, in questo caso dall’Italia ribelle, lo stesso problema della velocità del sogno. Ed anche se non lo dici in maniera esplicita, dall’Italia che lotta, cioè che sogna, e rispondi anche: "non lo so". Bene, ai problemi che esponi io potrei risponderti con l’assioma dell’ineffabile e grande (di ego) Don Durito de La Lacandona: "Non c’è problema sufficientemente grande che non si possa superare." Benché la ritenga una ricetta eccellente (a me ha dato buoni risultati in più di una volta), credo sinceramente che quello che esponi non cerchi una soluzione, bensì una discussione. Il "che fare in Italia?" è, in effetti, un problema. Ed a mio modo di vedere, fa parte del problema "che fare nel mondo? ". Bene, la risposta di noi zapatisti è... "non lo sappiamo." So che non ti aspettavi qualcosa di diverso da parte nostra, conoscendoci bene come ci conosci. Tuttavia, dalla nostra terra e dalla nostra lotta possiamo dire quanto segue: Primo. Nel Messico di oggi, tutti i politici, anche quelli che sono in testa nelle inchieste, nei titoli dei notiziari o nel numero di manifestanti, indipendentemente dal colore della retorica che innalzano o dal simbolo della loro organizzazione partitica, hanno l’assoluta sfiducia di noi zapatisti, il nostro scetticismo ed incredulità. Basati unicamente sulle loro parole, promesse, intenzioni, cifre, statistiche, studi di opinione, non otterranno assolutamente niente buono da noi. Niente, neppure il beneficio del dubbio. Come il capo dell’Esercito Liberatore del Sud, generale Emiliano Zapata, di fronte a Francisco I. Madero, la nostra ostilità verso i politici del centro sarà regola invariabile: e come Emiliano Zapata di fronte alla poltrona presidenziale, continueremo a voltare le spalle al Palazzo Nazionale ed a chi aspira a sedersi su quella poltrona. E la stessa cosa vale per l’autodenominato "Congresso dell’Unione" ed il circense Potere Giudiziale della Federazione. Secondo. Nel caso specifico dei partiti politici che si autoproclamano di sinistra riconosciuti in Messico (ma che, non bisogna dimenticarlo, non sono le uniche organizzazioni politiche di sinistra che esistono nel nostro paese), non possiamo trattenere un sorriso amaro quando i loro funzionari di partito, governanti, deputati, senatori e portaborse stipendiati, rinfacciano a Vicente Fox l’inadempimento della sua promessa in campagna elettorale di risolvere il "problema" del Chiapas in 15 minuti. Noi non dimentichiamo che quelli che oggi criticano, sono gli stessi che hanno votato a favore di una legge che, oltre a non adempiere un atto di elementare giustizia, contravveniva fondamentalmente al reclamo dei popoli indios del Messico e di milioni di persone nel nostro paese ed in altre parti del pianeta. Sono gli stessi che incoraggiano gruppi paramilitari per osteggiare ed aggredire le comunità zapatiste. Sono gli stessi che si impegnano a compiacere una destra, (la si chiami alta gerarchia ecclesiale o imprenditoriale) che, bisogna dirlo, non sente nessuna attrazione per loro. Sono gli stessi che, sotto il braccio, portano i piani economici e polizieschi che sono stati studiati nei consigli di amministrazione dell’avidità internazionale. Con tutto questo, non possiamo avallare, col nostro silenzio, le porcherie giuridiche con le quali si vuole impedire che chi governa ora Città del Messico, nel 2006 si presenti alle elezioni per la Presidenza del paese. Ci sembra un’azione illegittima, mal congegnata per fallacie legali che attenta contro il diritto dei messicani di decidere se al governo ci va uno o un altro o nessuno. La concretizzazione di un imbroglio di tale natura significherebbe, né più né meno, l’invalidazione dell’articolo 39 della Costituzione messicana, che sancisce il diritto del popolo di decidere la sua forma di governo. Sarebbe, per dirla chiara, un colpo di Stato "soft". Dicendo questo non ci mettiamo dalla parte di una persona né di un progetto di governo. Tanto meno si traduce in appoggio ad un partito che non solo non è di sinistra e non è progressista, ma non è neppure repubblicano. Semplicemente ci mettiamo dalla parte della storia di lotta del nostro popolo. Terzo. Le elezioni passano, i governi passano. La resistenza resta quello che è, un’alternativa in più per l’umanità e contro il neoliberismo. Niente di più, ma niente di meno. Tuttavia, coerenti con l’avversione che professiamo verso i dogmi, ammetteremo sempre che possiamo sbagliarci e che, in effetti, potrebbe essere che, come predicano adesso gli impiegatucci di moda, sia necessario, urgente, imprescindibile, arrendersi incondizionatamente nelle braccia di chi, dall’alto, promette cambiamenti che si possono ottenere solo dal basso. Possiamo sbagliarci. Quando ce ne renderemo conto perché la dura realtà si interporrà sulla nostra strada, saremo i primi a riconoscere questo equivoco davanti a tutti, a favore e contrari. Sarà così perché, tra le altre cose, noi crediamo che l’onestà di fronte allo specchio sia necessaria per tutti quelli che, a parole o nei fatti, si impegnano nella costruzione di un mondo nuovo. In ogni caso, noi mettiamo la vita nelle nostre certezze e nei nostri equivoci. Credo sinceramente che, dall’alba del primo gennaio del 1994, ci siamo guadagnati il diritto di decidere noi stessi il nostro cammino, la sua cadenza, la sua velocità, la sua compagnia continua o sporadica, le sue tappe e, soprattutto, il suo destino. Non cederemo questo diritto. Siamo disposti a morire per difenderlo. Quarto. Continueremo a fare quello che crediamo sia il nostro dovere fare. E questo indipendentemente dal "rating" ottenuto dalle nostre azioni, dal posto che occupiamo nei notiziari, o dalle minacce e profezie che, da uno e dall’altro lato dello spettro politico, ritengono opportuno lanciarci ogni volta che non facciamo quello che loro vogliono che facciamo o che non diciamo quello che loro vogliono che diciamo (cosa che succede sempre). Non ci uniremo allo schiamazzo isterico della classe politica e dei suoi fans nelle colonne di "analisi politica". Quelli che vogliono imporre, sempre dall’alto, un’agenda che non ha niente a che vedere con quello che succede in basso nel nostro paese, precisamente, lo smantellamento implacabile dei fondamenti della sovranità nazionale. Non manipoleremo nemmeno il calendario affinché il 2006 anticipi la sua incertezza, la sua fiera delle vanità, il suo cinico spreco di risorse e di stupidità. Tanto meno sarà la nostra linea di azione quella di chi vorrebbe che noi mettessimo i nomi di carcerati, desaparecidos e morti, mentre loro mettono i nomi nelle liste plurinominali. Quinto. Questo non vuol dire che non ascoltiamo. Lo facciamo e continueremo a farlo. Da tutte le parti del mondo ci arrivano parole di incoraggiamento e di critica, consigli ed avvertimenti, adesioni e rifiuti. Ascoltiamo tutto e lo conserviamo nel cuore collettivo che siamo. Chiunque in qualsiasi parte del mondo può stare sicuro che gli zapatisti l’ascolteranno. Ma una cosa è ascoltare ed un’altra è obbedire. Le "polemiche" se gli zapatisti siano rivoluzionari o riformisti, lights o heavys, ingenui o maliziosi, buoni o cattivi, non godono della nostra attenzione e, come le zanzare nelle lunghe notti nelle montagne del sudest messicano, non è quello che ci tiene svegli. Nelle terre zapatiste non comandano i transnazionali, né il FMI, né la Banca Mondiale, né l’imperialismo, né l’impero, né i governi di uno o dell’altro segno. Qua le decisioni fondamentali le prendono le comunità. Non so come si chiama questo. Noi lo chiamiamo "zapatismo." Ma il nostro non è un territorio liberato, né un comune utopica. Neanche il laboratorio sperimentale di uno sproposito o il paradiso della sinistra orfana. Questo è un territorio ribelle, in resistenza, invaso da decine di migliaia di soldati federali, poliziotti, servizi di intelligece, spie di diverse nazioni "sviluppate", funzionari con funzioni di controinsurrezione ed opportunisti di ogni tipo. Un territorio composto da decine di migliaia di indigeni messicani vessati, perseguitati, colpiti perché si rifiutano di smettere di essere indigeni, messicani ed esseri umani, cioè, cittadini del mondo. Sesto. Del resto del pianeta, la nostra ignoranza è enciclopedica (in realtà occuperebbe più volumi che le opere complete della parola esterna ed interna dei neozapatisti, la quale, sia detto per inciso, è abbondante) e poco o niente possiamo dire su organizzazioni politiche di sinistra che lottano o dicono di lottare sotto altri cieli. Lì, come dovunque, preferiamo guardare verso il basso, verso movimenti e tentativi di resistenza e di costruzione di alternative. Ci voltiamo a guardare verso l’alto solo se una mano dal basso ci indica questa direzione. Settimo. Con le nostre goffaggini o successi, definizioni o vaghezze, stiamo cercando, solo cercando, ma mettendoci la vita, di costruire un’alternativa. Piena di imperfezioni e sempre incompleta, ma la nostra alternativa. Se siamo arrivati fino a dove siamo arrivati non è stato, tuttavia, per la nostra sola capacità o decisione, bensì per l’appoggio di uomini e donne di tutto il mondo che hanno compreso che in queste terre non c’è un mucchio di bisognosi, avidi di elemosine o di pietà, ma esseri umani che, come loro, aspirano e lavorano per un mondo migliore, un mondo dove stiano tutti i mondi. Credo che uno sforzo così meriti la simpatia e l’appoggio di ogni persona onesta e nobile nel mondo. E credo che, il più delle volte, questa simpatia ed appoggio trova la sua versione più fortunata nella lotta che intraprendono o conducono nelle loro rispettive realtà, qualunque sia la loro cultura, la loro lingua, la loro bandiera, il loro tipo di calzatura, scarpe, scarpe da tennis, ciabatte, sandali o pantofole. In questo senso, nella nostra geografia, sono più vicine alle comunità zapatiste realtà che le mappe indicano distanti. Così, è più vicino a noi l’Europa del basso: l’Italia Disobbedientee dell’autogestione; la Grecia che comunica con segnali di fumo; la Francia delle ciabatte e dei senza documenti e senza tetto, ma con dignità; la Spagna insorta e solidale; l’Euzkal Herria che resiste e non si arrende; la Germania ribelle; la Svizzera impegnata; la Danimarca compagna; la Svezia perseverante; la Norvegia coerente; la Patria negata ai curdi; l’Europa marginale in cui soffrono gli immigrati; tutta l’Europa dei giovani che si rifiutano di comprare le azioni nelle borse del cinismo... e le donne messicane indigene mazahuas. Ribellioni e resistenze che sentiamo più vicine delle interminabili distanze che ci separano dalla superba città di San Cristóbal de Las Casas e dai partiti politici che parlano con la sinistra ed agiscono con la destra. Bene, per il momento è tutto, compagno Pedro Luis. Credimi, non mi dispiace se, per quello che ti scrivo corro il rischio "di essere giudicato come uno che delira, che non vede la realtà". Sia come sia, il problema fondamentale resta in sospeso, cioè, quello di chiarire qual’è la velocità del sogno. In attesa della soluzione, ricevi un abbraccio e la prossima volta che scrivi, insieme alla lettera su Carta, manda una traduzione, anche in "itagnolo". Salute, e che lo schiamazzo che viene dall’alto non impedisca di ascoltare il mormorio proveniente dal basso. (Continua...) Dalle montagne del sudest messicano. Subcomandante insurgente Marcos. Messico, settembre 2004. 20 y 10. (2 ottobre 2004 www.jornada.unam.mx - Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo) _______________________________________________________________________________ Terza parte - Piedi nudi Il club delle mutue caricature Qual è la velocità del sogno? Non lo so. "Non lo so", queste tre parole dovrebbero essere più presenti nel repertorio di tutti, così obbligati come a volte ci sentiamo ad opinare su tutto ed a sostituire opinioni con dogmi e ricette pronte ("verità", le chiamano). Nel Club delle mutue caricature, ovvero, nella selezionata intellighenzia che, sui e dai mezzi di comunicazione di massa di destra (ed alcuni "di sinistra") si tiene lontana ("obiettiva", dicono) dalla realtà, è da tempo che la critica ed il dibattito sono stati soppiantati dallo scandalo mediatico, dalla "neutralità" (che, alla fine, è più fondamentalista di Bush-Bin Laden) e da profezie che non importa se non sono supportate da argomenti e nemmeno se si concretizzano ("dopo tutto, a chi importa la realtà?"). Cortigiani versatili alla periferia del potere, questi intellettuali parlano di tutto, sono esperti di tutto. Nella loro filosofia istantanea e solubile ("andiamo in onda - consegno la mia collaborazione in pochi minuti, non c'è tempo di pensare a quello che si dirà-scriverà"), questi neofilosofi della postmodernità, seguendo le mode che si rinnovano di tanto in tanto, imitano le pose ed il metodo dei "grandi" pensatori, cioè, astraggono e generalizzano. Ovvero, suppongono e creano un modello e poi lo applicano. Il resto? all'immondizia (cioè, fuori dalla programmazione o dall'indice dell'articolo). Inoltre, l’intellettuale ed il comunicatore che fanno gli analisti politici di destra (e non pochi di "sinistra") si erigono a giudici che dettano sentenze ed aspettano, comodamente seduti all’università o in una sala stampa, che la realtà sia il boia che esegua la sentenza. Se il "successo" della filosofia politica reazionaria, cioè, dell'analista di destra, sta nella sua capacità di "giustificare" un'azione, quello di coloro che predicano dal pulpito dei mezzi di comunicazione sta nel trivializzare l'illogicità. Proponendo emozioni riflesse e irragionevoli, i comunicatori affrontano la guerra, la povertà, le catastrofi naturali, le arbitrarietà dei governi, i crimini e le sempre più frequenti scintille di scontento popolare. Dopo tutto, i sentimenti possono essere fugaci quanto le questioni "più importanti" dei notiziari. Così, si disperano per la mancanza di video. Invece ci sono, ma ciò che succede è che molti di questi suscitano riflessioni e, diciamolo chiaro, la riflessione profonda non è la fonte della comunicazione di massa. La velocità dell'incubo È con la riflessione teorica (che non è sinonimo di masturbazione mentale), col dibattito (che non è il ping-pong degli insulti), con lo scambio di esperienze (che non è lo scambio di ricette pronte) che, se non si può sapere qual'è la velocità del sogno, si può invece calcolare la velocità dell'incubo. Dalla nostra stessa esperienza e da quello che vediamo sul globalizzato piano di sopra, abbiamo imparato che è la stessa velocità che ci vuole per abbassare le mani, arrendersi, rassegnarsi, assumere la comoda e stupida posizione di spettatore, abbandonare ideali sugli altari di un pragmatismo alla fine dei conti sterile e deformante. Se il potere mondiale rende un omaggio morboso all'11 settembre ed all'11 marzo, è per usarli come pretesto dell'incubo che globalizza e ci vuole "vendere" il sogno che il suo potere militare e poliziesco eviterà che si ripetano altri "undici" nel calendario... seminando il suo terrore in altre date ed in tutto il mondo. Ma, di fronte agli "11" del terrore di una e dell'altra parte, c'è, per esempio, un "15", quello del febbraio del 2003. In quella data più di 30 milioni di persone di oltre 100 nazioni del mondo si sono mobilitate contro la guerra. Molti diranno che è stato inutile, che la guerra comunque è scoppiata. Ma si dimentica che il raccolto della semina del basso non è mai immediato. E non sempre le mobilitazioni finiscono quando si chiudono i notiziari. Il più delle volte diventano apprendistato ed organizzazione. Il potere può ben vivere con dimostrazioni massicce di ripudio che finiscono quando si cambia canale, ma non può starsene tranquillo quando questo ripudio si organizza e tanto meno quando cresce. Perché, in basso, imparare è crescere Le menzogne, per quanto rating ostentino, normalmente provocano indigestione e vomito. Le verità, certamente, provocano mal di stomaco, ma questo normalmente si allevia facendo qualcosa. Perché, sebbene le bugie siano irrimediabili, le verità hanno rimedio. Di fronte all'incubo, non basta svegliarsi. La veglia può fiorire nel sogno. L'impreciso sogno zapatista Ma, quale è la velocità del sogno? Non lo so. Nel nostro sogno, il mondo è un altro, però non perché qualche deus ex macchina ce lo regala, ma perché lottiamo, nella permanente veglia della nostra veglia, perché in quel mondo sorga l'alba. Noi zapatisti, sappiamo con chiarezza che non avremo, né noi né nessuno, la democrazia, la libertà e la giustizia di cui abbiamo bisogno e che meritiamo, fino a che, con tutti, la conquisteremo per tutti. Con gli operai, con i contadini, con gli impiegati, con le donne, con i giovani. Con quelli che fanno funzionare le macchine che fanno produrre i campi, che danno vita alle strade ed ai sentieri. Con quelli che, con il loro lavoro, ogni giorno precedono il sole. Con quelli che da sempre producono la ricchezza ed oggi consumano solo la povertà. La nostra lotta, cioè, il nostro sogno, non finisce. Tuttavia, nella veglia di tutti i giorni ci sforziamo di non lasciare in eredità a coloro che seguiranno, uno spazio di rancore e di affanno distruttivo. In ogni momento ribadiamo la nostra decisione di non imporre a nessuno (nemmeno a noi stessi) - anche dall'impunità dell'assenza definitiva (toccati dalla bacchetta magica della morte, quella che trasforma in perfezioni ciò che non è altro che un mucchio di contraddizioni) - una serie di cinismi mascherati da "ragioni politiche" o da fondamentalismi camuffati da "neofilosofia" universale ed eterna. Lo zapatismo non è una guida per l'azione Ci impegniamo ogni minuto di ogni ora di ogni giorno, a non predicare né promuovere il culto del "tanto tutto è uguale" che è solo un alibi che giustifica che, nel "tutto", si comprende il tradimento dei principi. La ragione che ci muove è etica. In questa ragione, il fine sta nei mezzi. Vogliamo, e per questo lottiamo quotidianamente contro tutto (compreso contro noi stessi) per posare un'altra pietra ancora nella nostra casa, quella che vogliamo tutta porte e finestre, da cui si possa entrare, si possa uscire, guardare ed essere guardati, senza altro limite che la voglia di fare una o l'altra cosa. Una casa dove non sia doloroso essere donna, o bambino, o anziano, o indigeno, o giovane, o gay, o lesbica, o transessuale, o lavoratore del campo o della città. Per finire, un posto dove non ci si debba vergognare d’appartenere all'umanità. Vogliamo continuare a lottare per quello che siamo, come zapatisti. Così il mondo nuovo non nascerà solo dal nostro passo, però anche da quello. Vogliamo, alla fine, sparire. Per questo, e non per altro, siamo apparsi. Per questo motivo nel nostro sogno, noi non ci siamo. Piedi nudi Quale è la velocità del sogno? Non lo so. Ma ora, in quest'alba di settembre, senza altra compagnia che un vento gelato, con la pioggia che tamburella impaziente sul tetto della capanna, e sommando alla nuvola che porto quella che fuori riposa, realizzo che, forse è la stessa velocità con la quale, nel mio sogno, l'ombra che sono svanisce nell'altra e gentile ombra fra le gambe di Lei, mentre con le mie labbra scrivo promesse impossibili sulle piante dei suoi piedi nudi... Dalle montagne del Sudest Messicano Subcomandante Insurgente Marcos Messico, Settembre 2004. 20 y 10 P.S. - Qui finisce il programma "scientifico" del Sistema Zapatista di Televisione Intergalattica. Dopo un taglio anti-commerciale, continueremo con la nostra programmazione. Non cambiate. (Sullo schermo, cioè sul cartoncino, appare: "Sandali Yepa-Yepa, l'unico sandalo g-l-o-b-a-l-i-z-z-a-t-o, lancia sul mercato il suo nuovo modello " Pozol Agrio" - produzione limitata ad un prezzo da sogno! Non si accettano carte di credito né contanti. Autorizzazione della Giunta del Buon Governo numero 69. Con restrizioni"). (traduzione del Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

domenica 26 settembre 2004

26/09/2004 | Ass. YaBasta - Incontro Nazionale


… Oggi i cieli del mondo sono annuvolati da aerei da guerra, missili – che si definiscono "intelligenti" in modo da mascherare la stupidità di chi ne è responsabile e di chi, come Berlusconi, Blair e Aznar, li giustifica – e satelliti che segnalano dove c’è vita e dove ci sarà morte. E la terra è solcata da macchine da guerra che dipingeranno il mondo con i colori del sangue e della vergogna. La tempesta sta per arrivare. Ma l’alba arriverà solo se le parole diventate nuvole per attraversare i confini diventeranno un "No" di pietra, e apriranno un varco tra le tenebre, una crepa attraverso la quale possa insinuarsi il domani. Dalle montagne del Sud-Est Messicano. Dal C.G.C.C. degli Indigeni Rivoluzionari dell’EZLN. Subcomandante Insurgente Marcos (tratta dalla lettera letta da Heidi Giuliani il 15-2-2003 a Roma ******************************************* Associazione Ya Basta! – Incontro Nazionale Milano, 9 e 10 ottobre 2004 DISERTORI NELLA GUERRA GLOBALE, PER COSTRUIRE RIBELLIONE riflessioni, racconti, progetti e presentazione delle prossime iniziative Pianeta terra, autunno 2004: un panorama verde militare Parlare di dignità dei popoli contro il neoliberismo come l'Associazione Ya Basta! ha cominciato a fare fino dalla sua nascita negli anni '90 significa oggi parlare della guerra globale permanente e dei suoi devastanti effetti sociali, parlarne per tracciare sentieri di ribellione in mezzo alla guerra, segnali concreti di alternativa. La guerra globale permanente è la forma della barbarie generalizzata con cui si vuole imporre il dominio del neoliberismo. La guerra "imperiale" genera effetti sociali devastanti, vuole imporre al mondo il controllo della parola e della rappresentazione sotto la logica del denaro, vuole imporre l'immagine di un mondo terrorizzato in cui la vita non ha ovunque lo stesso valore. Nel tentativo bugiardo di costruire arruolamento totale e consenso addomesticato si utilizza il binomio "guerra e terrorismo" che vorrebbe occultare dietro un gioco di specchi e di crudeltà la realtà di una guerra estesa planetaria, fatta di massacri e stragismi contro i civili e contro quanto resiste alla logica del potere, della sopraffazione e della rapina di pochi ricchi sulla maggioranza. Chi vive nel "mondo di sopra" raccomanda al potere la sua innocenza e il suo benessere, chi sta "sotto" è una vita sacrificabile. Noi siamo la stessa umanità degli ostaggi della scuola di Beslan, come dei prigionieri delle carceri di Guantanamo e Abu Grahib, delle vite distrutte dai bombardieri imperiali e dai signori della guerra in Irak come in Palestina o in Colombia quanto di quelle colpite dalle bombe nella stazione di Atocha. Senza divise: la diserzione dell’umanità ribelle. Di fronte a questa barbarie vogliamo proporre quella che per noi è anzitutto una esperienza che viene dalle nostre origini a fianco dei fratelli e sorelle zapatisti. Noi non siamo gli innocenti tra due barbarie, noi siamo e vogliamo essere i ribelli contro questo ordine di cose, i disertori nella guerra globale. Perchè nella guerra c'è sempre una parte dalla quale schierarsi, quella dell'umanità, quella offesa e calpestata dagli affaristi e dai signori della guerra. E disobbedire al comando ed alle occupazioni militari è sempre una necessità per entrare in contatto con chi a quelle sopraffazioni sta resistendo al di là di una frontiera da superare. La cooperazione orizzontale ha sempre significato costruire complicità tra disertori globali, dare corpo materiale a relazioni di reciproco riconoscimento tra comunità politiche consapevoli e ribelli. E oggi continuiamo e chiederci come e da dove è possibile sabotare la guerra ed i suoi apparati embedded, compresi quelli del business umanitario. Ricerchiamo da sempre il modo di essere attivi dentro i conflitti del presente senza essere agenti di mediazione sociale ma agenti di sovversione contro la guerra, per una pace basata sulla giustizia sociale e sulla dignità dei popoli. Col fiato sospeso continuiamo a chiedercelo con forza ancora maggiore oggi, quando anche la cooperazione italiana non omologata si trova ostaggio della guerra globale. Oggi che esplodono quelle contraddizioni che un anno fa portarono al blocco alla frontiera irakena della nostra carovana, proprio per la nostra incompatibilità con quell'occupazione imperiale. E a partire dalle iniziative di questa estate 2004 vediamo la possibilità di far crescere la rete delle resistenze alla guerra, dei movimenti reali e vediamo nascere nuove ipotesi di cooperazione e di trasformazione, in sabotaggio della guerra globale. Ma un "mondo che contenga molti mondi" parte anche dai nostri territori. In Italia la cosiddetta emergenza immigrazione è il frutto delle scelte di esclusione e repressione messe in campo dalla sinistra prima e spinte poi agli estremi dalla destra. La lotta per una nuova cittadinanza, per il rispetto incondizionato della vita e della libertà dei migranti, contro i centri di detenzione ed il razzismo, restano per noi il modo migliore per vivere in questo paese con i nostri fratelli e sorelle che ci portano il mondo in casa. Cerchiamo insieme le strade per la chiusura dei CPT in Italia, in Europa e nel Mediterraneo, per costruire spazi di cittadinanza e dignità partendo dalle comunità locali. Siamo tornati da molti paesi e con molte storie da raccontare. Ogni storia ed ogni volto sono per noi una parola, un colore, una domanda nella inarrestabile ricerca di molti altri, oltre noi, di rifiutare il presente e di affermare la propria dignità. Invitiamo tutti coloro che vogliono mettere insieme queste domande, queste storie e questi colori, all'incontro nazionale che si terrà a Milano il 9 ottobre. Mai come oggi è importante continuare a camminare domandando. L’INCONTRO SI TERRÀ A MILANO IN CASALOCA, viale Sarca 183 in auto: uscita tangenziale nord viale Zara in treno: dalla stazione centrale – MM3 fermata Zara + linea 7 fermata Sarca info: yabastamarche@libero.it Associazione Ya Basta! - Incontro Nazionale DISERTORI NELLA GUERRA GLOBALE, PER COSTRUIRE RIBELLIONE. riflessioni, racconti, progetti e presentazione delle prossime iniziative PROGRAMMA Sabato 9 ottobre, incontro pubblico: ore 16.30 – inizio prima parte ore 19.00 – pausa e rinfresco ore 19.30 – inizio seconda parte ore 21.00 – conclusione, cena e inizio serata: musica e grigliata di pesce tracce delle relazioni ARGENTINA: Movimento Piqueteros La primavera argentina : società civile e autogoverno … siamo in partenza Dal 12 ottobre saremo in argentina per rafforzare il sostegno all’esperienza dei piqueteros e a tutte le reti che sperimentano nella realtà argentina forme di autogestione e creazione di comunità in lotta per i propri diritti. In particolare si approfondirà il sostegno al progetto del "Centro di Salute Autogestito" del Mtd ( piquetero) Solano, progetto che fa tesoro della concezione di autogestione ed autonomia che si costruisce dentro le forme di auto-organizzazione della società civile, aprendo così una comunicazione diretta con il movimento. BRASILE: Movimento Sem Terra – GlobAL – Gruppi di azione nelle favelas Accesso al sapere e alla cittadinanza nei movimenti urbani e rurali - Diapo/relazione Racconto del viaggio da Rio de Janeiro a Salvador de Bahia. Dall’esperienza di azione nelle favelas e dalla costruzione di GlobAL (Global america Latina) nella realtà di Rio de Janeiro alla permanenza nelle comunità in occupazione dei Sem Terra. Spunti e riflessioni attraverso le mille facce moderne del Brasile: i movimenti sociali, le lotte urbane ,la riappropriazione delle terre e della dignità, la costruzione di comunità, il governo di Lula. Possibilità e sviluppi del rapporto con la complessa realtà brasiliana. CHIAPAS: Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale Il sogno zapatista si dà gambe organizzative: un aggiornamento dalle comunità ribelli ad un anno dalla nascita dei caracoles – con Video/ intervista Racconto del viaggio di questa estate nelle comunità e aggiornamento sui progetti in Chiapas Intervento accompagnato dalla videointervista con la Giunta del buon governo del caracol di Oventic, verranno anche presentate le brigate di raccolta del cafè rebelde zapatista e la prossima carovana per consegnare le due ambulanze al sistema sanitario autonomo zapatista, a cui parteciperanno Rosa Piro ed Haidi Giuliani. COLOMBIA: Comunità Afrodiscendenti del Cacarica – Collettivi urbani Un viaggio attraverso le resistenze al neoliberismo e alla guerra globale Resoconto del viaggio che si è tenuto da metà agosto al 6 settembre . Riflessioni sulla carovana ci ha portato a conoscere la realtà delle organizzazioni di base (studenti, avvocati, sindacati) a Bogotà per poi inoltrarci nella Selva del Chocò dove dal 1996 resistono le comunità afrodiscendenti appartenenti all'organizzazione Cavida. Progetti di cooperazione e appoggio dalla metropoli alla selva per contribuire alla rete d’azione colombiana. PALESTINA: Movimento civile Al Mubadara In Palestina per un altro medioriente, per un’altra Europa – con contributi video e cd multimedia Racconto della presenz/attiva dell’agosto 2004 e dei progetti che abbiamo aperto e vogliamo continuare. Dalla lotta contro il muro dell’apartheid e contro l’occupazione israeliana alla relazione profonda con le esperienze di autorganizzazione della società palestinese. Racconto della presenza stabile del progetto GlobalRadio a Ramallah e della proposta dell’importazione dell’olio palestinese come sfida al sistema di discriminazione internazionale che colpisce la popolazione civile palestinese. Presentazione del progetto Kifah: presenza a protezione della raccolta delle olive dal 25 ottobre al 8 novembre. Domenica 10 ottobre: riunione nazionale dell’associazione - inizio ore 10.00 da sabato sarà esposta la mostra fotografica "Le maschere che mostrano, appunti dal Chiapas zapatista" fotografie e testi di Paola D’Amico

sabato 10 luglio 2004

10/07/2004 | PALESTINA. IL MURO E' ILLEGALE E VA ABBATTUTO


"QUEL MURO E' ILLEGALE" L'ALTA CORTE DI STRASBURGO CONDANNA ISRAELE" L’Alta Corte di Giustizia ha stabilito che il muro costruito da Sharon è "una barriera contraria alle leggi internazionali” e per questo illegale. Secondo i giudici dell’Aia, chiamati a pronunciarsi con una risoluzione approvata lo scorso dicembre dall’Assemblea Generale dell’Onu, la costruzione del muro viola il diritto internazionale e dunque l’esecutivo israeliano deve smantellare quella che chiama "barriera difensiva". Ascolta il commento di Serena Marinello, Ass. Ya Basta, che presenta il viaggio previsto per agosto nei territori palestinesi. «È la fine dell’occupazione» Barghouti: per Israele sarà come per il Sudafrica con la Namibia Mustafa Barghouti, politico di lungo corso e membro della delegazione palestinese all’Aja, non sta nella pelle. «È la fine dell’occupazione. Almeno l’inizio della fine», ci dice commentando al telefono il giudizio della Corte internazionale di giustizia che il manifesto ha anticipato. Barghouti, in Olanda assieme a una folta rappresentanza giunta dai Territori occupati, racconta che alla vigilia della «sentanza» già circolava tra i palestinesi un cauto ottimismo, ma che quando oggi verrà letto il verdetto sarà festa grande, perché è definitivamente naufragato il tentativo del governo Sharon di dare una legittimità giuridica al Muro che entra all’interno della Linea verde (il confine tracciato dopo l’armistizio del ’48) rubando la terra che secondo il diritto internazionale appartiene al futuro stato di Palestina. Allora signor Barghouti, la Corte dell’Aja ha dato ai palestinesi una vittoria al cento per cento? È una vittoria grandissima, totale, storica, la fine non solo del muro dell’apartheid, ma dell’occupazione israeliana di Cisgiordania e Gaza. Questa sentenza ha dimostrato che il tentativo di una potenza occupante di far passare i fatti creati sul terreno, militarmente, l’annessione di territorio palestinese de facto, non può passare. Fine dell’occupazione? Non le sembra di esagerare? No, non esagero. Perché è stato bocciato un tentativo micidiale, che sarebbe stato mortale per i palestinesi: quello di creare l’apartheid in Palestina, un’apartheid anche peggiore di quella che ci fu in Sudafrica. Questo è il senso del verdetto della corte che mi ha letto al telefono. L’apartheid in Palestina non può esserci. Quando parlo di fine dell’occupazione non esagero, sono semplicemente ottimista. Quello che voglio dire, con grande entusiasmo, è che è l’inizio della fine dell’occupazione. Sarà, ma si tratta pur sempre di una «advisory opinion», un giudizio non vincolante... Sì, ma deve capire, è comunque molto, molto importante. Anche quello espresso dalla Corte internazionale di giustizia nel 1971 sulla Namibia era un giudizio non vincolante. Rappresentò comunque l’inizio della fine dell’occupazione di quel paese da parte del Sudafrica segregazionista dell’apartheid. In concreto, a livello internazionale, quali saranno i prossimi passaggi della vostra battaglia contro il muro? Adesso l’Assemblea generale e il consiglio di sicurezza non possono sottrarsi a intervenire, sono investiti del problema. Il caso Muro potrà essere portato, ad opera di altri membri della Comunità internazionale, di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. E anche se gli Stati uniti opporranno il veto a qualsiasi risoluzione di condanna del Muro da parte del massimo organismo dell’Onu, la nostra battaglia ha da oggi molta più forza. Una vittoria completa anche su Gerusalemme mi pare... Sì, certamente. Tutti gli sforzi da parte del governo israeliano di separare Gerusalemme dal resto dei Territori occupati sono falliti. Quali riflessi può avere questo giudizio dell’Aja sulla situazione sul campo...si continuerà a combattere? Su questo non si possono fare previsioni. Certamente una gran parte della società palestinese e tutti i pacifisti internazionali, israeliani, palestinesi che in questi messi hanno fatto una battaglia senza sosta contro il Muro e il furto di terra ai palestinesi, avranno molta più speranza. Forse il governo Sharon cercherà di fare finta di niente, sta di fatto che la nostra battaglia da oggi è molto più forte e vicina alla vittoria. Michelangelo Cocco 9 e 10 luglio: Giornate di Azione “CHIEDIAMO GIUSTIZIA PER LA PALESTINA, ORA” Chiamata all’azione, PENGON/campagna contro il muro dell’Apartheid 28 giugno, 2004 Nonostante 50 anni di incessante oppressione e la costruzione di un muro mostruoso, neppure un singolo crimine compiuto da Israele è stato portato, sino ad oggi, di fronte al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia. La nascita di Israele nel 1948 ha comportato la distruzione di più di 400 villaggi palestinesi, il massacro di dozzine di palestinesi per mano delle forze israeliane, nonché la distruzione e il furto di enormi quantità di terre. L’occupazione del 1967, di quello che rimase della Palestina storica, era una palese e devastante ingiustizia, così come l’annessione illegale del cuore della Palestina: Gerusalemme. Con 5 milioni di rifugiati, i palestinesi sono divenuti il popolo di profughi più numeroso al mondo e la cui popolazione maschile è per metà rinchiusa nelle prigioni israeliane. Malgrado ciò la Comunità Internazionale resta essenzialmente a guardare queste evidenti violazioni di diritti umani e della legge internazionale, senza lanciare significative sfide e senza preoccuparsi dell’accertamento delle dovute responsabilità. Ad oggi, il muro dell’Apartheid rinchiude in sé tutti i crimini perpetuati dall’Occupazione Israeliana in un solo progetto. Il muro racchiude una popolazione intera in una prigione a cielo aperto, con restrizioni alla libertà di movimento e soffocando qualsiasi forma di attività economica; Il muro minaccia la sopravvivenza e l’esistenza di più di 300.000 palestinesi: separandoli dalla loro terre, dalle loro risorse, dai loro familiari, dalle scuole, dai centri medici e dalle loro fonti di sostentamento, imponendo condizioni di vita tali da costringerli ad abbandonare le loro città ed i loro villaggi, andando così ad incrementare il già elevato numero di profughi palestinesi; Il muro confisca illegalmente le terre, le preziose sorgenti acquifere sotterranee e tutte le altre risorse presenti nei terreni espropriati; Il muro è una chiara continuazione della politica razzista di Apartheid perpetuata da Israele: di esproprio e di annessione delle terre, nonché dell’espulsione del popolo palestinese; Il muro metterà fine alla possibilità di una soluzione a due stati e rinchiuderà i Palestinesi in tanti ghetti o bantustan, all’interno della Palestina storica, imponendo un sistema di Apartheid di estrema portata. Fin dall’inizio dei lavori per la costruzione del muro, giugno 2002, i Palestinesi hanno protestato contro di esso e le organizzazioni internazionali hanno ripetutamente evidenziato in che modo il muro viola le leggi in tema di diritti umani e le leggi in materia di diritto internazionale. Nell’ottobre 2003, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione, ES 10/13, che chiedeva ad Israele la cessazione della costruzione del muro e la distruzione delle parti già completate, entro un periodo di tempo fissato in un mese. Israele ha rifiutato di osservare questa risoluzione, come è accaduto per tutte le altre risoluzioni votate dagli organi delle Nazioni Unite, in tema di diritti per il popolo palestinese. Nonostante ciò, le pressioni palestinesi continuarono e, supportate dalla critica internazionale, spinsero l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a votare, l’8 dicembre 2003, una risoluzione dove si richiedeva il parere della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dell’Aia in merito alla "legalità" del muro. Così, le udienze all’Aia cominciarono nel febbraio 2004. Il 9 luglio 2004, alle ore 15.00, la Corte Internazionale di Giustizia, pronuncerà il suo parere. L’importanza del parere della Corte è ben noto: un parere positivo può fare la differenza. Nel 1971, dopo che la CIG emise un verdetto con il quale condannava l’occupazione della Namibia per mano del Sud Africa, la comunità internazionale impose severe sanzioni contro di esso. Successivamente, l’isolamento internazionale, le sanzioni economiche e le pressioni diplomatiche, hanno sostenuto il movimento contro l’Apartheid in Sud Africa nella sua lotta contro il regime razzista e colonialista e lo stesso ha segnato la fine dell’Apartheid. La dichiarazione del verdetto della CIG non rappresenta solo l’occasione per valutare le reazioni della comunità internazionale in seno all’assunzione delle sue responsabilità verso la Palestina ma soprattutto l’opportunità per mettere in evidenzia gli effetti devastanti del muro, le sue motivazioni razziste e colonialiste e determinare tutti i gradini successivi che porteranno alla distruzione delle parti di muro di Apartheid già costruite. Dobbiamo impegnarci in maniera sempre più determinata, coordinando tutti gli sforzi affinché il muro cada e segni il primo passo verso la fine dell’Apartheid e dell’occupazione israeliana. Il 9 luglio diffondi e denuncia le implicazioni politiche relative alle decisone della CIG – indipendente dal suo contenuto o esito – e aiutaci a portare all’opinione pubblica mondiale la voce e le ragioni palestinesi. La Comunità Internazionale ha l’obbligo e la responsabilità di prendere seriamente in considerazione non solo gli effetti legali ma soprattutto quelli politici, conseguenti la decisione che sarà emanata dalla Corte. Stiamo chiamando tutti coloro che cercano giustizia e tutti gli amici della Palestina ad agire in solidarietà con la nostra lotta, contro il muro dell’Apartheid e per la fine dell’occupazione israeliana. La Campagna del popolo palestinese contro il muro dell’Apartheid chiede un’azione immediata: sanzioni e boicottaggio contro Israele fino a quando il muro dell’Apartheid non cadrà e Israele si conformerà alla legge internazionale a alle risoluzione prese in seno al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. CHIEDIAMO DI ORGANIZZARE VARIE AZIONI NELLE GIORNATE DEL 9 E 10 LUGLIO 2004 Raccogli le richieste di resistenza provenienti dalle comunità palestinesi affette dalla costruzione del muro dell’Apartheid e della relativa Campagna, portandole sulle strade e facendo sentire loro: Abbattiamo il muro dell’apartheid! Fermiamo l’occupazione! Sanzioni e boicottaggio contro lo stato di apartheid israeliano! Giustizia per la Palestina e per i palestinesi! Vi stiamo chiedendo di agire e di sostenere i nostri sforzi e di far sentire la nostra voce: mobilitatevi nelle strade e organizzate proteste, informazioni ed eventi. Distribuite le nostre informazioni stampa, utilizzate i media indipendenti e fate pressioni sui canali principali d’informazione su quello che sarà l’esito della decisone della CIG, in merito alle ragioni palestinesi, alla costruzione del muro, alla lotta palestinese e al vasto mondo della solidarietà internazionale. Grazie per il vostro sostegno! Campagna di base palestinese contro il muro dell’Apartheid. www.StopTheWall.org

venerdì 11 giugno 2004

11/06/2004 | "La storia dei colori"


Per la prima volta l’associazione “Ya Basta! Marche” partecipa alla rassegna “Jesi Estate” e ovviamente lo fa a modo suo, organizzando per sabato 19 giugno, alle 21.30, in piazza delle Monighette (in caso di maltempo lo spettacolo si terrà presso il Palazzo dei Convegni ) e poi la domenica 20, alle 17.00 a Collamato di Fabriano , in Piazza del Castello, la rappresentazione "La storia dei colori" della Compagnia Teatrale di Reggio Emilia "Mammalucchi" , anche loro attivisti di "Ya Basta! - laboratorio AQ16. E' un adattamento teatrale dei racconti che il vecchio Antonio, un anziano appartenente ad una comunità della selva Lacandona, ha fatto al Subcomandante Marcos, il quale ha deciso di trasferire su carta questa affascinante leggenda maya che narra la nascita dei colori. Il metodo utilizzato è quello clownesco che ha l’obiettivo di creare una relazione con il pubblico, infatti, saranno coinvolti bambini ed adulti. Attraverso questo spettacolo (che è stato realizzato anche all’interno delle comunità autonome zapatiste) la compagnia dei Mammalucchi, insieme all'associazione "Ya Basta!", vuole anche sostenere il progetto del libro "C’era una volta una notte…" realizzato in collaborazione con i bambini della scuola d’Oventic. Nelle Marche ,a Jesi e a Fabriano, si è riuscito a coinvolgere gli assesori alla cultura nel sostegno di questo libro . Ya Basta Marche invita tutti a difondere, in un modo o l'altro, la esperienza di questo progetto a sostegno delle comunità indigene zapatiste. Durante l'attività che si è svolta nell’aprile dell’anno 2002, è stato realizzato un laboratorio di "Racconta Storie", attraverso il quale si è concretizzato un interessante scambio culturale . In questo periodo i ragazzi hanno scritto dei racconti, (leggende maya, racconti popolari e della lotta zapatista vista e vissuta dagli alunni e dalle loro comunitá) nella loro lingua madre, lo tsotsil, (una delle lingue maya che ancora sopravvivono), tradizionalmente orale. La fase dello sviluppo della scrittura tsotsil è tuttora in atto e di fatto, all´interno della Scuola Secondaria Rebelde Autonoma Zapatista, si sta portando avanti un processo di sviluppo della scrittura tsotsil che ne permetta una espressione e forma piú precisa. Oggi, il lab.AQ16 vuole diffondere questa esperienza e tradurla in un libro tsotsil-spagnolo-italiano, per essere, da un lato, promotore di uno scambio culturale, capace di sviluppare, nei nostri paesi, atteggiamenti di tolleranza e di conoscenza delle culture indigene; dall’altro, permettere, attraverso la vendita del libro, di ottenere dei proventi da destinare all´appoggio del Sistema di Educazione Ribelle Autonomo Zapatista di Liberazione Nazionale della zona Altos. Durante la loro permanenza nella scuola secondaria di Oventic, gli attivisti del lab.AQ16 hanno potuto percepire in loco l’importanza del valore della cultura indigena di fronte al pericolo derivante dalla sopraffazione della lingua spagnola (castiglianizzazione). A tale scopo, a seguito del laboratorio di Racconta Storie, si è deciso, in accordo con responsabili, insegnanti e gli alunni della scuola di intraprendere un percorso, forse difficile, ma necessario per preservare la memoria indigena locale: tentare di trascrivere in lingua tsotsil i racconti che fino a quel momento erano stati tramandati solo oralmente. E’ stato un lavoro molto impegnativo, ma allo stesso tempo estremamente gratificante dal momento che gli alunni tsotsil hanno potuto vedere scritti i loro racconti e sentirsi orgogliosi della propria cultura. Il libro è diviso in capitoli (leggende, racconti popolari, lotta zapatista vista e vissuta dagli alunni e dalle loro comunità: in lingua tsotsil, spagnola e italiana) in quanto vogliono focalizzare i diversi aspetti della cultura indigena e della lotta zapatista vista e vissuta nella quotidianità dagli alunni della ESRAZ. Le voci dal basso chiedono il riconoscimento delle proprie terre, della propria dignità e cultura. Sono le voci di un popolo minacciato che tenta di preservarsi e di resistere alla globalizzazione neoliberista che è la continuazione e l’attualizzazione del genocidio che le popolazioni originarie dell’America Latina subiscono ormai da più di cinquecento anni. Nel libro si trovano anche i disegni fatti dagli stessi alunni, una introduzione scritta dai promotori (maestri) della scuola, nella quale si trovano spiegati i principi dell’educazione autonoma Verranno regalate 1000 copie del libro al "sistema educativo autonomo" che saranno distribuite nelle scuole zapatiste per utilizzarlo come materiale didattico. Le restanti copie verranno distribuite nei vari punti di vendita in Italia e Messico ed il guadagno andrà ad appoggiare il sistema educativo autonomo.

giovedì 3 giugno 2004

03/06/2004 | La primavera argentina: società civile ed autogoverno


La primavera Argentina: società civile e autogoverno "Que se vayan todos", gridavano gli argentini riversandosi nelle strade e nelle piazze il 19 e 20 dicembre 2001, costringendo alla fuga il presidente. Era il desiderio espresso che articolava un blocco popolare, in quel momento in costruzione, e pochissimi dirigenti politici potevano transitare le strade senza ricevere il rifiuto di buona parte della società argentina. E' vero che all inizio , con la esplosione delle mobilitazioni di massa, tutto sembrava più facile ,ma questa sperimentazione di nuovi fenomeni e modalità d'aggregazione e autorganizzazione sociale ha percorso una tappa di accumulazione di potere popolare, e si manifesta in molteplicità di imprendimenti associativi di carattere non lucrativi ,che sorgono dalle pratiche della democrazia diretta delle assemblee di quartiere , piqueteros, cooperative di lavoratori d'aziende recuperate , di raccoglitori di riciclati di spazzatura ..fra alcune delle esperienze più conosciute .Tutte esperienze che si inscrivono e si collocano nell'ottica della costruzione di comunità libere e solidali, in una società alternativa al capitalismo e alle violenze neoliberiste. Il movimento sociale argentino sta crescendo verso l'interno, sviluppando le sue capacità, imparando a lavorare collettivamente e coinvolgendo persone e gruppi dei diversi settori sociali. Una piccola società nuova è nata nel seno dell'Argentina che affonda.. Tutto questo non è visibile ne interessante per i politici , accade in forma sotterranea , molecolare . Oggi , a più di un anno dal Governo Kirchner ,un bilancio veloce e sintetico della situazione, evidenzia che la devastante crisi della legittimità delle politiche neoliberiste non si riuscirebbe a comprendere senza gli accadimenti del 19 e 20 dicembre 2001. Si è fatto qualche passo avanti in materia dei diritti umani e depurazione delle Forze Armate e di sicurezza. Riprende la crescita economica ( quella dell'anno scorso una delle più alte del decennio) ma senza avanzare nelle politiche di ridistribuzione ( il 44 % della società sotto il margine della povertà) e i nuovi posti lavorativi creati sono totalmente precari. Non si è modificato per niente il modello distributivo delle entrate economiche che caratterizzò gli anni '90. In effetti, mentre aumenta in forma significativa il surplus fiscale, non c'è una chiara decisione di utilizzare tali risorse in più a favore degli investimenti per l'emergenza sociale ed occupazionale. Finita la luna di miele, dove sembrava non ci fossero né scontenti né conflitti, il governo affronta diverse sfide: pressioni da parte delle aziende privatizzate per ottenere l'aumento dei servizi, soprattutto gas e corrente elettrica che affligge i settori più popolari; il negoziato del debito estero, l'ALCA e anche il Mercosur con l’Unione Europea che rischia di essere attuato ancora prima dell’ ALCA. E’ molto preoccupante l’aumento della repressione nei confronti dei movimenti in questi ultimi mesi, settori della giustizia tendono ad agire come braccio repressivo nei confronti dello scontento sociale mentre il governo mantiene una falsa neutralità davanti a queste violazioni del diritto e delle garanzie delle persone. Questa scelta è posta in essere per occultare la miseria generata da un modello economico criminale, e quindi per impedire il legittimo diritto di tutti a protestare e ad autorganizzarzi per la sopravvivenza . I movimenti più vicini alle fabbriche recuperate ,come la Gatic e la Franco Inglesa i cui lavoratori sono stati gettati un’altra volta in mezzo alla strada dopo violenti sgomberi ,interpretano tutto ciò come un chiaro segnale di avvertimento generale : “fin qui siete arrivati….” Altri segnali negativi in tal senso arrivano dall’approvazione della riforma del Codice Contravencional che acutizza e legalizza la repressione poliziesca e istituzionale in atto e che nascondendosi dietro la problematica dell'insicurezza, perseguono in effetti la criminalizzazione della povertà con l’alibi dell’ordine pubblico per contrastare le domande di giustizia sociale, di democrazia e di autogoverno, colpendo i settori più vulnerabili che vivono, lavorano, circolano e protestano nella città : travestiti e donne che vivono della prostituzione, cartoneros (disoccupati che raccolgono carta e cartoni della spazzatura) , venditori ambulanti , piqueteros , artisti di strada, pensionati, studenti, immigranti , poveri , lavoratori e disoccupati in lotta. Una riflessione finale sull’attuale governo: è a conoscenza di tutti che il governo di N. Kirchner ha assunto come politica di stato la condanna della violazione dei diritti umani durante l’ultima dittatura militare e di dare impulso ad una politica della memoria; due delle più grosse battaglie della lunga lotta sviluppata dalle numerose organizzazioni dei diritti umani argentini. In questo modo il governo ha stabilito una grande differenza nei confronti dei due governi precedenti , fino ad arrivare al punto di chiedere perdono alla società in nome dello stato argentino, per la situazione d’impunità registrata durante i due precedenti governi “democratici”. Nonostante ciò questo importante salto di qualità non può e non deve condurre ad ignorare il contrasto esistente fra la politica di condanna per le violazioni dei diritti umani perpetrate dal terrorismo di stato negli anni ´70, e la attuale politica sui diritti umani dal presente e dal passato recente, Questa politica porta ad una pericolosa continuità con le precedenti amministrazioni , mantenendo nonostante tutto la sua matrice neoliberista e la criminalizzazione della protesta sociale , esprimendo la mancanza di volontà di rispettare fino in fondo la garanzia dei diritti. Di certo ,una riflessione sui movimenti argentini, porta a esprimere una sintesi positiva e ottimistica, poichè appaiono forme di autonomia mai viste prima., anche se la istituzionalizzazione di alcune realtà ha acuito una frammentazione latente fra i movimenti dove il governo ha avuto un ruolo non secondario. Non piangere per l'Argentina, pensiamo piuttosto a cosa possiamo imparare dall'Argentina , a come possiamo farne parte anche noi, ricordiamo i caserolazos, gli escrache (metodo di sputtanamento ai torturatori assassini dei 30.000 desaparecidos) di H.I.J.O.S , le assemblee di quartiere , i tanti giovedì delle " Madres de Plaza de Mayo", le fabbriche recuperate, i piqueteros. Il piquete è molto di più del blocco di strada , è la porzione visibile di una società alternativa che lotta e lavora con serietà e responsabilità per creare un'alternativa al capitalismo che non può sorgere che dalla base dall'autogoverno delle comunità , attraverso la resistenza e la creazione di un mondo nuovo qui e ora. Come Ya Basta abbiamo cercato di approfondire la situazione , di quell'interessante laboratorio sociale che è l'Argentina .Ed è così che nel 2003 ci siamo trasferiti nel sud della provincia di Buenos Aires , Solano, per incontrare il Movimento Lavoratori e Disoccupati (MTD) , il movimento piquetero, che ci ha fatto immergere in questa nuova esperienza di auto organizzazione sociale che si sta producendo e sviluppando: "un cuneo sovversivo dentro e contro la globalizzazione". Tutti i progetti svolti nel MTD, non funzionano solo con la logica di risolvere i problemi urgenti e immediati prodotti dalla grave crisi economico-politico-istituzionale, ma funzionano anche con l’intento di generare una società autonoma dalla piovra del mercato liberista, creando nel concreto economia e cultura alternativa e autogestita Come Ya Basta si è iniziato a proporre qui in Italia un sostegno concreto al progetto del “Centro di Salute Autogestito” aprendo così una comunicazione diretta con il movimento, questa iniziativa consiste nella costituzione di ambulatori popolari autogestiti dove si prevedono visite anche specialistiche ed esami di varia natura .E’ da circa tre anni che le donne del quartiere di Solano, lavorano per realizzare questo progetto che nasce dall’esigenza di creare un sistema articolato che consenta una copertura sanitaria di base alla popolazione di questa parte della provincia di Buenos Aires (o Gran Buenos Aires). Infatti nonostante le dichiarazioni teoriche, secondo cui l’accesso alla sanità sarebbe un diritto universale, oggi esistono profonde disuguaglianze. Questo progetto fa tesoro della concezione di autogestione ed autonomia che si costruisce dentro le forme di auto-organizzazione della società civile. La delegazione che stiamo preparando per la "primavera argentina", partirà l’11 ottobre 2004 e si recherà a Buenos Aires, per incontrare le realtà che ci accomunano nella solidarietà e nella resistenza, come prima tappa Solano, i fratelli e sorelle del MTD.